Le Langhe

“Ora la strada sale in metà della vallata. Vento sì, ma ce la fa appèna a spettinarmi. Non riesco a scorgere, lassù, dove il cielo s’attacca alla collina.
Queste cominciano ad essere le Langhe del mio cuore: quelle che da Ceva a Santo Stefano Belbo, tra il Tanaro e la Bormida, nascondono e nutrono cinquemila partigiani e gli offrono posti unici per battagliarci” [1].
Per Beppe Fenoglio, le dolci colline, il vento ed i fiumi, non sono soltanto la cornice naturale dei suoi racconti, ma la sua stessa vita, la terra che non ha mai voluto abbandonare.
Davide Lajolo afferma che “le Langhe sono nelle sue vene, sono il sangue che erompe, … sono eguali a lui” [2].
La natura è la realtà che lo scrittore ama profondamente: proprio perché accetta la violenza delle sue leggi, è attratto anche dalla morte.
Per Pavese, le Langhe sono il luogo della memoria, della nostalgia e del ritorno all’infanzia; per Fenoglio, il distacco non avviene, neppure quando è lontano.
Il ritmo tragico delle vicende narrate dallo scrittore è sempre scandito dai suoni o dalle immagini degli elementi naturali, che si animano dei sentimenti del racconto, proiettano ombre di angoscia o segni di attesa.
Ne I ventitre giorni della città di Alba, al culmine del dramma, “piovve in montagna e piovve in pianura, il fiume Tanaro parve rizzarsi in piedi tanto crebbe” [3].
Nel racconto “L’andata”, l’incubo di un’immagine marina prelude alla morte di Negus: “Non voleva vedere quanto restava lontana la cima della collina, e poi le gobbe del pendio gli parevano enormi ondate di mare che si rovesciavano tutte su lui” [4].
A volte, le immagini della natura sono pause rasserenanti fra le azioni di guerra: “Tutto il mondo collinare candeva di abbondantissima neve che esso reggeva come una piuma… E le case tutt’intorno indossavano un funny look, di lieta accettazione del blocco e dell’isolamento” [5].
Ma, in altri momenti, la natura sembra colpevole, come gli uomini, degli eventi più crudeli [6].
In Una questione privata, si materializza, nella nebbia, la sofferenza morale di Milton: “Formava spessori concreti, una vera e propria muratura di vapori, e ad ogni passo Milton aveva la sensazione del cozzo e della contusione” [7].
Quando Giorgio Clerici viene catturato, la nebbia, impenetrabile, “era un mare di latte” [8].
La pioggia sulle Langhe, all’inizio de La malora, esprime quel cupo dolore che Agostino vive come una nuova condanna: “Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra” [9].
Il paesaggio e la natura, secondo Eugenio Corsini, non sono soltanto sfondo o cornice delle vicende umane, ma si configurano “nelle vesti di veri e autonomi protagonisti” [10].

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