Demetrio a Bossolasco

La sua storia, nella cucina di Langa, comincia il giorno stesso in cui nacque: il 28 ottobre del 1916. Lui è Demetrio Veglio; suo padre, oste anch’esso, era proprietario del “Leon d’Oro” a Dogliani, un albergo con stallaggio tra i più famosi di quel tempo. Figlio d’arte, Demetrio ben presto cominciò a gironzolare tra i fornelli, tra i tavoli nelle sale ove convenivano gli avventori più disparati.
Con lui cresceva la passione per il “far da mangiare”, assimilava le prime nozioni, i primi segreti, le prime “malizie” dei tajarin, del minestrone, della bagna caöda e del sancrau.
Così, a quattordici anni, quando di solito i ragazzi sono indecisi sul che fare da grandi, Demetrio aveva già le idee ben chiare: avrebbe fatto l’albergatore. E venne ad affinare arte, mestiere e personalità al “Savona” di Alba, dove lo “zio Giacu Mura” che faceva scuola a molti estranei avrebbe accolto con piacere questo allievo di famiglia. E fu la mossa azzeccata. A 27 anni compiuti, nel ’43, in pieno periodo bellico, quando Demetrio cominciava a sentirsi padrone del suo mestiere, decise di “mettersi per conto suo”. Aveva appena preso moglie e l’aveva scelta bene (donna Rina era anche lei del mestiere poiché i “suoi” avevano un esercizio a Bra), che decise di trasferirsi a Bossolasco dove avrebbe potuto avere in gestione il “Bellavista”, che lo zio Giacomo Morra aveva comprato da poco. L’avventura dei due giovani “sposi” cominciava così; dalla loro avevano una gran voglia di lottare e di riuscire, pochi soldi e molta fiducia.
Il periodo era il meno indicato per avviare un esercizio pubblico: c’era aria di smobilitazione, di salvare il salvabile. L’albergo era in pessimo stato, mancava il personale, mancava anche il mangiare.
Rabberciò il locale, addestrò il personale ma nei primi tempi fu dura: più che gente del luogo o qualche sfollato, a Bossolasco non arrivava nessuno. Poi la guerra finì, venne la ricostruzione, si aspettavano tempi migliori, ma per Demetrio ed il Bellavista si fecero ancora più duri. La gente aveva difficoltà a muoversi, preferiva trascorrere i momenti di sosta tra le mura di casa. A Bossolasco, Demetrio e Rina, ogni domenica, aspettavano avventori che non arrivavano mai. Tuttavia tennero duro e un giorno la loro fiducia ostinata trovò ricompensa.
Cominciarono ad arrivare, una domenica, due “landò” carichi di persone, poi le volte successive di più ancora. La voce si sparse, arrivarono le motorette, poi le macchine, poi gente da ogni dove e di ogni ceto: dai grandi personaggi della politica, a scrittori famosi, ai pittori, coloro che furono i commensali più amati di Demetrio.
In cucina, i fornelli continuarono ad obbedire all’occhio vigile di Madama Rina: nella sala, tra i tavoli, Demetrio divenne figura emblematica; con il sorriso, con l’affabilità di sempre accoglieva i commensali e s’accomiatava da loro. La cordialità era il suo distintivo; con quel sorriso immediato, quel venire incontro e salutare con calore metteva a proprio agio, faceva sentire di famiglia anche chi al Bellavista era la prima volta che arrivava. Passarono gli anni: la fama del Bellavista, la notorietà di Demetrio crebbero.
Poi un giorno decise di smettere. Lo fece senza tanto clamore, in nome di quei tre “amori” che sempre avevano guidato i suoi passi: la famiglia, l’arte e la natura.

La Fiera del Tartufo Bianco d'Alba

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