Felicin a Monforte

Oggi nelle cucina di Langa, Felicin è un nome, per molti un mito, per molti altri un “pioniere”. È stato, soprattutto, un uomo, da capo a piedi, saggio, con intelligenza e genialità, testardo e costante nella fatica e nelle ore trascorse ai fornelli, prezioso ricercatore di nuovi dosaggi dei gusti, delle spezie nei cibi.
Lo si può definire figlio d’arte: infatti fin dal 1800, la casata dei Rocca, di cui Felicin venne a far parte agli inizi del secolo scorso, si dedicava alla cucina. Ma non gli lasciò in eredità locali ormai avviati o famosi, né sulle colline di Langa, né in città.
Così, dovette farsi da solo, con le sue mani, tutto, fino in fondo: l’esperienza, il ristorante, la notorietà, la fortuna ed il successo.
Furono lunghi e duri anni di “gavetta”: prima a imparare l’arte del cibo ben fatto, poi quando l’età dell’apprendimento era passata, a fare esperienza concreta; poi cuoco volante a preparare nelle cascine di campagna delle Langhe, del Monferrato e della pianura quei pranzi pantagruelici a base di quindici-venti portate; oppure ancora in ristoranti della zona e di fuori, anche in quelli più noti, a fare da cuoco di rinforzo a preparare piatti di tradizionalità contadina cucinati in modo superbo.
A Monforte d’ Alba, dove aveva già prima un caffè che mandava avanti con la moglie, nel 1955 diede vita al suo locale, il Ristorante Albergo il Giardino.
I suoi lunghi anni di esercizio, le esperienze fatte altrove, l’arte innata e via via perfezionata furono messi a buon frutto: continuò a perfezionare il suo mestiere, a cercare di dare il meglio, a selezionare nuovi dosaggi e nuovi accostamenti; continuò a non sentirsi mai un “arrivato”, un appagato da quello che aveva saputo fare fino a quell’attimo.
Il successo, la notorietà vennero presto, nel breve volgere di pochi anni. Da ogni parte d’Italia e del mondo cominciarono ad affluire alla sua corte per gustare le sue “specialità”: insalata di carne cruda e di funghi porcini, tagliatelle fatte a mano, brasato e capretto al barolo, tume fresche e stagionate.
Ma il successo non lo fece cambiare: rimase quello di prima, fino in fondo coerente con il suo modello di vita, con la sua saggezza e con l’intelligente semplicità; in fondo era anche figlio di contadini ed alla terra era rimasto legato, alla vigna, ai filari, che lui stesso curava per poter ottenere ogni anno un barolo che fosse il migliore possibile.
E oggi l’epopea continua, anche nella sua memoria.

La Fiera del Tartufo Bianco d'Alba

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