BORGOGNI Gherardo

1526 - incerta Scrittore

La ricostruzione della vita di Gherardo Borgogni, fondandosi in gran parte su dati autobiografici disseminati nelle opere dell’autore, solo in alcuni casi comprovati da documenti extraletterari, va accolta con relativa cautela. Gherardo Borgogni nacque ad Alba nel Monferrato nel 1526. La sua formazione umanistica fu arricchita dalla conoscenza sicuramente del francese e molto probabilmente anche dello spagnolo, imparato durante i tre soggiorni in Spagna, due dei quali compiuti in età giovanile, nel 1546 quando andò a visitare alcuni parenti (se ne parla nell’ode Udite, piogge, udite ‘l mio lamento), e nel 1548 quando trascorse sei mesi presso uno zio, come si ricava da una lettera scritta al cugino Lorenzo. Un terzo viaggio avvenne poi alcuni anni più tardi, tra il 1568 e il 1569, e in questa occasione Borgogni fu anche ospite a corte, se si dà credito a quanto raccontato nel dialogo La fonte del diporto.
Fin da giovane intrecciò solide amicizie con personaggi in vista della cultura e della politica di Alba, e più estesamente del Monferrato, in particolare con lo scrittore Stefano Guazzo (nato a Casale Monferrato) e con monsignor Girolamo Vida, che fu vescovo di Alba dal 1533 al 1566, con l’arciprete di Alba Giovan Filippo Bosia e poi con i conti Roero, signori del castello della Vezza e di Guarene, con le famiglie Sangiorgio, Belli, Cerrato e Verri della Bosia e altri personaggi meno noti, che figurano spesso come dedicatari di vari testi poetici e poi ricordati con affetto e ammirazione anche nella Fonte del diporto, dialogo scritto quando l’autore si era da tempo trasferito definitivamente a Milano.
Nel 1552 si sposò con Caterina, probabilmente albese ma di casato ignoto, che gli diede un figlio, Tomeno, battezzato il 1° ottobre 1553. La moglie, cantata sotto i nomi pastorali di Clori o di Filli, compare spesso nei testi di Borgogni, a testimonianza di un affetto sincero e intenso che sembra trasparire dietro le convenzioni letterarie. Nel 1556 in compagnia del concittadino Vincenzo Belli visitò Roma, Napoli e la costiera fino a Salerno. Fu un viaggio di piacere, ma nell’ode Qui, dove ‘l gran Tirreno, in cui se ne parla, viene ricordata con nostalgia la moglie rimasta in patria. Il tema degli affetti famigliari non è esclusivo nelle rime di questo periodo. Borgogni infatti aveva cominciato a scrivere rime d’encomio ed occasione, dedicate a vari amici albesi, rimaste per il momento inedite. Videro la luce invece alcune sue lettere, pubblicate nell’antologia di Stefano Guazzo (cfr. Lettere volgari di diversi gentiluomini del Monferrato raccolte da messer Stefano Guazzo, Brescia, Bozzola, 1566).
Nel 1569 morì l’unico figlio Tomeno, seguito pochi anni dopo dall’amata Caterina, sepolta il 21 gennaio 1573. La data di morte e di sepoltura delle moglie è attestata in un documento conservato nell’Archivio canonico di Alba, Registro delle rendite e spese del capitolo e delle porzioni di ciascun canonico per vari anni avanti al 1581, documento già messo in luce dal Vernazza nei suoi meritori studi sull’autore. Questi lutti familiari segnarono profondamente Borgogni e il ricordo della moglie e del figlio saranno motivi costanti in tutta la sua produzione poetica. È molto probabile che quando lo scrittore maturò la decisione di lasciare Alba e di trasferirsi definitivamente a Milano abbiano avuto un’influenza significativa anche queste dolorose vicende biografiche (cfr. l’ode Or che lungi da me lieta ten vai, scritta in morte della moglie). Il trasferimento a Milano dovrebbe essere avvenuto in questo periodo, probabilmente tra il 1572 e il 1573, se si accetta per vera un’informazione di Paolo Morigia (cfr. La Nobiltà di Milano, Milano, eredi del Ponzio, 1595), secondo la quale Borgogni era ormai da ventidue anni a Milano, quando il frate lo ricordò tra gli scrittori milanesi. Alba rimase per lui un ricordo vivo e doloroso e quando ebbe occasione di ritornare nel Monferrato, come nel 1593 quando fu ospite dell’amico Teodoro Roero ormai prossimo alla morte, non mancò di piangere sulle tombe dei propri cari defunti.
La Milano del secondo Cinquecento era ben diversa dalle instabili terre del Roero che lo scrittore aveva lasciato. La città era dominata dagli Spagnoli. Le famiglie più nobili erano blandite con effimere concessioni e cariche onorifiche di scarso peso politico. La Chiesa esercitava un rigoroso controllo sull’attività culturale, mentre intanto andava sempre più imponendosi la figura dell’arcivescovo Carlo Borromeo. Non mancavano feste e occasioni mondane nei palazzi del centro o nelle ville periferiche, come quella di Lainate, di proprietà del conte Pirro Visconti Borromeo, che proprio in questo periodo venne adibita a lussuosa residenza signorile. Gli intellettuali e i letterati venivano facilmente integrati nel sistema dominante. Per l’albese Gherardo Borgoni non fu facile inserirsi nel nuovo ambiente. Solo dopo vari anni riuscì infatti a farsi conoscere ed apprezzare sia come autore di testi encomiastici e poesie d’occasione sia come editore. Nel 1576, anno turbato dalla peste, curò un’opera d’attualità: Difesa contro la peste di Marcello Squarcialupi da Piombino medico, et filosofo. Con le vere cagioni del vivere, e morire, e debiti regimenti, avanti, dentro, e dopo la pestilenza. Novamente ristampata e corretta da Gherardo Borgogni. Agiontavi una tavola dei capitoli, Milano, Pietro e Francesco Tini, 1576. Due anni più tardi un suo sonetto compare nell’opuscolo Fatti di Milano al contrasto della peste, ovvero pestifero contagio dal primo di agosto 1576 sino all’ultimo dell’anno 1577, Milano, Gottardo e Pacifico Ponzio, 1578. Si tratta di sporadici componimenti occasionali. Solo dopo alcuni anni si hanno le prime vere e proprie edizioni, tuttavia in raccolte antologiche: una ventina di suoi testi si leggono in Le piaceuoli rime di Cesare Caporali. Di nuouo in questa terza impressione accresciute d’altre graui, per l’adietro non più date in luce, Milano, Pietro Tini, 1585; altre poesie (più di trenta) sono raccolte in un’antologia curata da Giovan Battista Licino, Rime di diversi celebri poeti dell’età nostra nuovamente raccolte e poste in luce (Bergamo, Comin Ventura), tra esse le più numerose sono dedicate al conte Pirro Visconti Borromeo, giovane e ricco patrizio amante di arte e poesia, presso il quale molto probabilmente lo scrittore aveva trovato accoglienza e protezione. Nel 1588 Borgogni curò la tragedia dell’amico Federico Asinari, Il Tancredi (Bergamo, Comin Ventura, 1588). E’ di questo periodo la sua affermazione nell’ambiente letterario ed editoriale, come rivelano i numerosi testi (per lo più sonetti) di proposta e risposta, pratica letteraria allora di moda, e anche i diversi componimenti proemiali che scrisse per diversi amici (tra essi merita sicuramente un cenno quello che precede l’edizione pavese della Conquistata edita nel 1594). Borgogni si distinse soprattutto nell’allestimento di antologie di poeti contemporanei, collaborando con tipografi ed editori dell’ambiente milanese (i Ponzio, Pietro Tini, Pietro Martire Locarni) e veneziano (Giulio Somasco). Proficua in particolare la collaborazione con Comin Ventura, impressor urbis di Bergamo, per i tipi del quale uscirono varie raccolte curate nell’ultimo decennio del secolo (cfr., per es., Nuova scielta di rime del sig. Gherardo Borgogni, Bergamo, Comin Ventura, 1592; e Le Muse Toscane di diversi nobilissimi ingegni dal sig. Gherardo Borgogni nuovamente raccolte e poste in luce, Bergamo, Comin Ventura, 1594). Nell’attività letteraria dello scrittore risulta decisamente prevalente la passione per la poesia contemporanea, ma non mancarono brevi testi in prosa; a parte le lettere, si può ricordare l’opuscolo Le discordie christiane, le quali causarono la grandezza di casa Ottomana, insieme con la vera origine del nome Turco, et un breve sommario delle vite, e acquisti de ‘Principi Ottomani, et nel fine un paragone della possanza del Turco, e di quella del Catol. Re Filippo, da Gherardo Borgogni di nuovo poste in luce, Bergamo, Comin Ventura, 1590, e poi soprattutto La fonte del diporto, stampato per la prima volta a Bergamo nel 1598 da Comin Ventura e poi, arricchito di nuovi testi, nel 1602 dal senese Ciotti a Venezia, dialogo che comunque risulta un facile pretesto per inserire componenti di varia provenienza, novelle in gran parte tradotte dall’Heptaméron di Margherita di Navarra o copiate letteralmente da altri scrittori, e diverse rime d’occasione lette per lo più nelle sedute dell’accademia degli Inquieti.
La sua attività editoriale, che lo mise in contatto con diversi poeti del tempo tra cui l’ammiratissimo Torquato Tasso, e i suoi versi elogiativi gli permisero di acquistare una posizione non trascurabile negli ambienti culturali della città. Ai legami di natura editoriale con vari poeti del tempo si aggiungono le relazioni di amicizia che intrecciò con gli artisti Giovanni Ambrogio Figino, Nunzio Galizia e la figlia Fede, elogiati in varie rime; e proprio la pittrice, ancora giovane, non mancò di ricambiare con un ritratto del Borgogni sessantaseienne, che compare nell’edizione delle poesie stampate a Bergamo nel 1592. Il riconoscimento pubblico di questa posizione culturale fu l’ammissione, il 16 giugno 1594, nell’accademia degli Inquieti, fondata pochi giorni prima (10 giugno) nel palazzo milanese, nella piazza di San Giovanni in Conca, del marchese di Caravaggio Muzio Sforza. Borgogni, non nuovo all’esperienza delle accademie come dimostrano i contatti con quella degli Illustrati di Casale e degli Intenti di Pavia, partecipò attivamente alle sedute ordinarie, ogni giovedì, degli Inquieti, leggendo numerosi componimenti d’occasione e di encomio che poi furono inseriti nel dialogo La fonte del diporto. La partecipazione all’accademia gli permise di consolidare i contatti già attivi con alcuni esponenti di nobili famiglie milanesi, alcuni dei quali inseriti nelle istituzioni cittadine della Milano di fine secolo, ma anche e soprattutto di entrare in relazione con personaggi di primo piano come il governatore spagnolo della città Juan Fernández de Velasco; ed è facile immaginare che alcuni di questi testi, dedicati ai reali di Spagna, siano stati letti anche alla presenza della futura regina, Margherita d’Austria, e dall’arciduca Alberto d’Asburgo, governatore dei Paesi Bassi e marito dell’infanta Isabella, quando soggiornarono a Milano nel 1598 e nel 1599.
Ciò nonostante non pare che Borgogni vivesse agiatamente, e nei testi di questo periodo si fa anche riferimento alle perduranti ristrettezze economiche, confermate da un carme a lui dedicato da Bernardino Baldini. A Milano Borgogni contrasse un nuovo matrimonio e dalla seconda moglie ebbe una figlia, Vittoria, ricordata con affetto in diversi testi, tra i quali il sonetto composto in occasione del matrimonio della ragazza, inserito nel dialogo La fonte del diporto. Non ebbe peso letterario, tranne rarissimi casi, invece la seconda moglie, mentre nei testi a tematica amorosa composti in questi anni viene cantata spesso, ancora sotto il nome pastorale di Filli, l’attrice e poetessa Isabella Canali Andreini. Gli insufficienti proventi dell’attività editoriale costrinsero l’autore a ricercare sempre la protezione di vari mecenati. Nei capitoli in terza rima, pubblicati per la prima volta nel 1603, e in altri testi di questo periodo, Borgogni parla di non graditi soggiorni in luoghi periferici dell’alta Lombardia, al servizio di vari signori, a Vergano, presso Oggiono (oggi in provincia di Lecco) e a Senago, a nord di Milano, vicino a Bollate.
Dopo l’edizione veneziana della Fonte del diporto (1602), nei primi anni del secolo XVII di Borgogni si perdono le tracce. Il Ghilini lo dice morto e sepolto a Milano, ma la notizia non è supportata da una documentazione probante. In passato alcuni studiosi che si sono occupati di Borgogni hanno proposto come possibile data post quem di morte il 1608, data che è stata accettata acriticamente anche in tempi recenti. La ricostruzione, senza appigli documentari, si fonda sul fatto che in quegli anni (1606-1608) si editano testi di Borgogni, ma contro questa tesi è facile dimostrare che tutti i componimenti dell’autore pubblicati dopo il 1604 erano già stati stampati in precedenza, e quindi, se proprio si volesse seguire questa traccia, comunque scientificamente insidiosa, per ricostruire la possibile data di morte, il 1604 sembrerebbe l’anno più probabile, tanto più che nel 1603 il Borgogni era forse ancora vivo se si dà credito alla «Chiarezza sopra gli autori posti in questa terza parte» Delle rime piacevoli del Borgogna, Ruscelli, Sansovino, Doni, Lasca, Remigio Anguillara, Sansedonio, e d’altri vivac’ingegni, mentre hanno scritto sue invenzioni, capricci, fantasie, e ghiribizzi, non meno festevole, che leggiadramente. Libro terzo, Vicenza, Barezzi, 1603. Del Borgogni infatti si dice: «Gerardo Borgogna è nativo di Alba nel Monferrato, ha eletto per sua stanza Milano, ove conosciuto dalla nobiltà, et uno de i principali Signori Academici Inquieti, fa bella et frequente mostra del suo ingegno. Ha stampato molte rime, et altri componimenti: so io ch’ei tiene di gran finezza. E in età matura è cortesissimo a gli amici, et officioso a chi lo ricerca di qual cosa si voglia, pur che honesta sia». Parole che sembrerebbero presupporre un autore ancora in vita.

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