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La Pietà

Alba, Chiesa di San Domenico

Il gruppo scultoreo del San Domenico rappresenta un singolare caso di cambio di destinazione d'uso, in quanto l'opera si trova oggi a ricoprire un ruolo diverso da quello per cui venne concepita. Conosciuta con il nome La Pietà, la scultura venne fatta collocare nel San Domenico dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nel 1949 per commemorare i caduti della Resistenza albese del 1943-45. In realtà, prima dell'attuale ubicazione, era nota come La Croce, monumento funebre scolpito per il Senatore Tito Orsini di Genova. Donata dalla stesso Bistolfi alla Galleria d'Arte Moderna di Roma nel 1915, la scultura venne poi data in custodia al Comune di Alba, che la utilizzò con un'altra funzione. L'opera, tuttavia, pur avendo cambiato nome, non ha perso la propria identità, perché nel celebrare i caduti di guerra, continua ad essere opera funeraria. In poco meno di mezzo secolo, il monumento, ricontestualizzato, è passato dal celebrare la vita di un singolo individuo, a omaggiare le virtù di coloro che sono morti lottando per la libertà del popolo. Di coloro, dunque, per i quali la morte non è stato un episodio naturale, ma l'inevitabile conseguenza del perseguimento del bene della patria.
Proprio come in una lapide, sul basamento della scultura è stata incisa a lettere d'oro la scritta: Albensis terrae civium qui pro patria et libertate sanguinem effuderunt immortalis in deo vivit memoria. A differenza dei monumenti celebrativi retorici e dall'iconografia convenzionale, l'opera di Bistolfi ha un carattere dimesso, esprime un dolore intimo, non urlato, ma vissuto interiormente; le delicate forme plastiche e alcuni elementi floreali conferiscono al gruppo scultoreo un carattere decorativo di gusto liberty. Bistolfi fu infatti vero specialista nei monumenti funebri, di cui ricevette numerose commissioni e che seppe innovare, attraverso l'uso di forme inedite, che verranno classificate come Art Noveau.
Addossata alla parete della chiesa s'innalza una croce stilizzata dalla marcata forma geometrica, mentre su un piedistallo poggia un gruppo di figure eterogenee. All'estremità destra, un uomo, le cui fattezze ricordano i Prigioni michelangioleschi, pare volersi liberare dal peso della materia, per fuoriuscire dal blocco marmoreo. La sua figura, posta di tre quarti, dal corpo vigoroso, non è scolpita a tutto tondo, ma sul dorso è visibile la materia grezza non finita. Al suo fianco una donna con in grembo il figlio, avvolto nelle pieghe del manto; ai suoi piedi due bambini e un uomo inginocchiato, di profilo, che con gesto disperato reca le mani al volto. Chiude il gruppo una coppia: uomo e donna si abbandonano in un abbraccio. L'elegante motivo decorativo floreale, che percorre il monumento è costituito da una ghirlanda sorretta da due donne, appena abbozzate a basso rilievo, a ridosso della croce. Al rigore compositivo dello sfondo si contrappone il dinamismo delle figure, animate da grande pathos e i cui occhi cavi, senza pupille, lasciano trapelare il dolore che li attanaglia. Bistolfi rappresenta diversi stati d'animo, dalla disperazione, alla preoccupazione per le future generazioni, alla speranza dell'uomo che, guardando in avanti, si mostra fiducioso nel domani. Con fluidità di segno e grande gusto estetico, Bistolfi cattura l'immagine senza appesantirla di particolari descrittivi, ma delineandola con pochi tratti e con modellato pittorico, di grande vivacità espressiva. L'autore è stato tra l' Ottocento e il Novecento convinto assertore dello stile floreale ed ha profuso nelle sue opere innovazioni decorative, che ne fanno uno dei più importanti scultori liberty.
Nato a Casale Monferrato nel 1859, riceve dal Comune una borsa di studio per frequentare l'Accademia di Brera, sotto la guida dell'Argenti. Nel 1880 si trasferisce a Torino, dove prosegue gli studi presso l'Accademia Albertina. Nel corso della sua attività riceve numerose commissioni per monumenti sepolcrali, passando alla storia come scultore cimiteriale. Muore a Torino nel 1933.

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