La guerra partigiana
La scelta antifascista di Beppe Fenoglio risale all’adolescenza dello scrittore, ma assume un fondamento teorico negli anni del liceo, attraverso le conversazioni con i maestri Leonardo Cocito e Pietro Chiodi.
Nel 1943, Fenoglio, dopo aver frequentato il corso per allievi ufficiali a Ceva, viene inviato a Roma, dove l’8 settembre, in seguito all’annuncio dell’armistizio con gli alleati, assiste al crollo dell’organizzazione dell’esercito italiano ed al suo sbandamento.
Il 9 settembre, il re ed il maresciallo Badoglio, abbandonano Roma: la città è circondata immediatamente dalle divisioni tedesche.
Fenoglio riesce a ritornare in Piemonte e, per qualche tempo, si rifugia in famiglia, ad Alba.
Nel gennaio 1944, si unisce ad una brigata di orientamento comunista, comandata dal tenente Rossi, “il Biondo”, e partecipa al combattimento di Carrù.
Dopo lo sfortunato scontro con il nemico e lo sbandamento dei partigiani, lo scrittore ritorna a casa.
“Un giorno di guerra – precisamente il 22 settembre del 1944, un venerdì – poco dopo il tocco dell’una al campanile del Duomo, qualcuno che, fuori di abitudine, fosse rimasto in piazza a quell’ora, avrebbe potuto vedere la mia famiglia, scortata da una pattuglia fascista, imboccare a passo sostenuto via Maestra, diretta alla Caserma di corso Piave” [1].
Così, Marisa Fenoglio, sorella dello scrittore, racconta il dramma dell’arresto della sua famiglia.
Da quel giorno, ha inizio per Beppe ed il fratello Walter una nuova vita: la madre, per intercessione della Curia Vescovile, riesce ad ottenere che siano scarcerati; ma i due giovani “presero definitivamente la via delle colline” [2].
Fenoglio raggiunge le Formazioni Autonome di Enrico Martini Mauri (“Lampus”) e di Piero Balbo (“Nord”), a Mango, sotto il comando di Piero Ghiacci (l’amico “Pierre”). Partecipa alla battaglia di Alba, conquistata il 10 ottobre ’44 dai partigiani, e persa il 2 novembre dello stesso anno.
In seguito al proclama del generale britannico Alexander, che è di fatto un invito alla smobilitazione, i combattenti antifascisti si disperdono: lo scrittore si rifugia nella Cascina della Langa e, solo, trascorre il lungo inverno.
Nel febbraio del ’45, i partigiani riprendono l’azione militare: Fenoglio raggiunge di nuovo lo schieramento degli Autonomi e partecipa alla battaglia di Valdivilla.
Successivamente, lo scrittore svolge le mansioni di ufficiale di collegamento con gli Alleati, nel Monferrato, nel Vercellese e nella Lomellina.
Il 19 aprile 1945, combatte a Montemagno.
Alla fine di aprile, le truppe tedesche del fronte italiano si arrendono.
Secondo Italo Calvino, in Una questione privata di Beppe Fenoglio “c’è la Resistenza proprio com’era, … vera come mai era stata scritta, … e con tutti i valori morali” [3].
Lo scrittore, pur ponendo l’accento sull’intima corrispondenza fra gli avvenimenti storici e la passione esasperatamente individualistica che permea di sé il romanzo, non esita a definire Fenoglio uno degli autori più autentici della Resistenza. Eppure, alcuni critici, soprattutto dopo la pubblicazione del primo libro di Beppe Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, non colgono, nell’opera, la peculiare sintesi poetica dell’esperienza esistenziale e degli ideali storico – politici.
Le polemiche di qualche critico di sinistra risalgono agli anni Cinquanta: esprimono, soprattutto, contrarietà e disagio per la descrizione anticonformistica, a volte anche burlesca, dei partigiani.
Solo più tardi, si capirà che proprio dal sentimento dello scrittore, e dalla ricerca di una verità che non sia né fredda cronaca né evocazione di un “evento mitico”, emerge l’esigenza di cogliere l’“umanità” dei combattenti, nei loro momenti di eroismo, ma anche di imperfezione.
Inoltre, non bisogna trascurare una componente fondamentale della cultura di Fenoglio: la civiltà e la letteratura anglosassone.
Lo scrittore, attento studioso del Puritanesimo, si sente come un guerriero di Cromwell, predestinato, cosciente del valore sacro della libertà, come scelta che supera gli eventi contingenti.
La decisione di partecipare alla lotta partigiana ha un significato morale e definitivo.
Anche se i compagni di battaglia sono, a volte, ragazzi deboli e spaventati, sono gli amici con i quali si trema e si soffre, la Resistenza è, per Fenoglio, un’esperienza “assoluta”, che trascende il tempo [4].
Quando Johnny guardò per l’ultima volta il viso del partigiano Tito, “ci vide un sigillo i eternità, come fosse un greco ucciso dai Persiani due millenni avanti” [5].
Il vero eroismo matura nella coscienza dello scrittore, nella ricerca coraggiosa del significato autentico della sua vita, per cui essere uomo vuol dire esistere per la libertà, e divenire, quindi, “partigiano in aeternum” [6].