Giacomino Curreno di Santa Maddalena nacque a Torino il 22 ottobre 1928 da Giuseppe e Lia Mazzucchelli, entrambi discendenti da nobili famiglie piemontesi. Il padre, decorato di medaglia d’argento durante il primo conflitto mondiale e insegnante all’Istituto superiore di guerra e cultura militare dell’Università di Torino, era figlio di un parlamentare del Regno d’Italia che, nel corso del 1920, venne nominato senatore a vita.
Fin da giovanissimo C. venne ammesso a frequentare gli studi presso il Reale collegio Carlo Alberto di Moncalieri. L’istituto, nato nel 1838 per decisa volontà regia e affidato alla direzione dei padri Barnabiti, si inseriva all’interno di un codificato percorso formativo che veniva proposto e assegnato ai membri dell’alta aristocrazia piemontese durante quegli anni per assicurare all’elite locale l’adeguata preparazione utile per divenire la futura classe dirigente del Regno. Fu in questi anni che il ragazzo decise di iscriversi all’associazione interna di Azione cattolica «Veritas et Vita» attiva nel collegio.
Nel corso della sua permanenza a Moncalieri C., allora quindicenne, fu raggiunto dalla notizia della caduta del regime fascista e, successivamente, da quella della firma dell’armistizio di Cassibile, che poneva fine alle ostilità con le forze angloamericane ma lasciava aperto il nodo circa i rapporti da tenere con l’ex alleato germanico presente con le proprie truppe nel territorio nazionale. Il giovane, pur potendo vantare una posizione di assoluta tranquillità visto che i bandi emanati dalla Rsi non arrivarono mai a comprendere i nati nel 1928, nel marzo del 1944 decise di abbandonare il suo posto per unirsi al movimento partigiano che già da qualche tempo era attivo in Piemonte per avversare l’occupazione nazifascista e l’attività della Repubblica di Salò.
Espressa la ferma volontà di unirsi al padre che, dopo aver comandato un reparto di cavalleggeri di Saluzzo in Croazia e Dalmazia durante la Seconda guerra mondiale, con il nome di battaglia di «Colonnello delle Torri» divenne uno dei promotori più influenti della Resistenza in Val d’Ossola e capo di stato maggiore del comando unificato nella zona liberata, C. non riuscì a raggiungerlo a causa dei violenti scontri già in atto nel territorio tra le forze partigiane e le truppe nazifasciste. Vista la sua ostinazione nel voler dare un deciso contributo alla causa della Resistenza, il giovane decise comunque di entrare a far parte delle formazioni azzurre del 1° gruppo Divisioni alpine guidato dal maggiore Enrico Martini «Mauri», allievo del padre alla scuola di guerra di Torino, che operava nelle Langhe e nel basso Piemonte. Assunto il nome di battaglia di «Gimmi», C. venne notato fin da subito per la giovane età e si distinse per l’audacia dimostrata negli scontri contro il forte presidio tedesco durante i combattimenti per l’occupazione di Magliano Alpi.
Catturato una prima volta e rifiutatosi di pronunciare il giuramento al duce, per dichiararsi fedele al re, fu rilasciato dai tedeschi perché ritenuto troppo giovane per essere un elemento combattente delle formazioni partigiane attive nella zona. Il 10 marzo del 1945, durante uno scontro a fuoco ingaggiato tra la sua formazione e le forze nazifasciste in azione di rastrellamento tra le due località di Carrù e Trinità, in provincia di Cuneo, il giovane rimase fermo sulla sua postazione insieme ad alcuni compagni per proteggere la ritirata della banda e, dopo aver tentato una effimera resistenza fino all’ultima munizione, venne raggiunto dalle forze nemiche che lo catturarono e lo posero in stato di arresto. Durante i giorni che trascorse in prigionia, C. venne interrogato più volte e sottoposto a minacce, torture e sevizie allo scopo di fargli confessare il nome dei suoi compagni di battaglia e, soprattutto, l’esatta ubicazione del comando militare del padre. Trinceratosi dietro un ostinato silenzio, non volle rivelare alcuna informazione che potesse essere utile ai suoi aguzzini ma, allo stesso tempo, a nulla valsero i diversi tentativi fatti dai comandi della divisione partigiana per giungere a uno scambio di prigionieri e farlo uscire dal carcere.
Il 31 marzo, dopo venti giorni di detenzione, C. venne prelevato insieme ad altri tre partigiani e condotto a San Rocco Castagnaretta, piccola frazione del comune di Cuneo, dove fu fucilato per rappresaglia in seguiti all’uccisione di due militari tedeschi. Nella sua cella aveva lasciato un foglio a quadretti con scritto: «Muoio fucilato, pregate per me».
Alla memoria di C. venne decretata la medaglia d’oro al valor militare con la qualifica di partigiano combattente e la seguente motivazione: «Volontario sedicenne, accorse tra i primi nelle file partigiane compiendo numerose difficili e rischiose missioni. Catturato dai nazifascisti, messo al muro ed invitato a gridare “Viva la Repubblica” con atto fiero e spavaldo offriva il petto al piombo nemico gridando “Viva il Re! Viva l’Italia!”. L’avversario ammirato da tanto coraggio lo lasciava libero. Ritornato nelle file partigiane, in combattimento contro forze preponderanti tedesche, gareggiava con i suoi compagni finché, esaurite quasi le munizioni, rimaneva volontariamente sul posto per proteggere il ripiegamento della squadra. Il nemico lo catturava con l’arma stretta in pugno e nell’atto di lanciare l’ultima bomba che ancora possedeva. Durante gli interrogatori manteneva contegno fiero e sereno. Dinanzi al plotone di esecuzione moriva da prode, offrendo in olocausto alla Patria la sua giovane vita con la generosità di un bimbo e la fierezza di un vecchio soldato. Cuneo, 31 marzo 1945».