VITA E MORTE
I giovani ribelli trovano nell’antifascismo l’elemento comune e si organizzano in clandestinità, in gruppi, in brigate. Sia in città che nelle zone rurali si compiono sabotaggi, azioni di disturbo e si predispone la resistenza armata in montagna in collina. Tra i banditi molti sono ex soldati del disfatto esercito, alcuni originari del centro e sud Italia, bloccati al nord dopo l’8 settembre a combattere ancora.
Le brigate partigiane hanno colori differenti per l’ispirazione politica che, seguita più o meno convintamente, è testimoniata dei fazzoletti che portano al collo.
Per coordinare l’azione tra i diversi colori, viene costituito il comitato di liberazione nazionale che coinvolge tutti i partiti antifascisti attivi nella Resistenza. Nelle Langhe agiscono le Formazioni delle brigate Garibaldi, Autonomi, Giustizia e Libertà, Matteotti.
Per 20 mesi i partigiani vivono la guerriglia, collina per collina, resistendo a pesanti colpi e rastrellamenti che spesso portano allo sbandamento delle formazioni e a volte, al passaggio ad altra brigata, cambiando anche colore, non senza problemi di convivenza tra i gruppi d’ispirazione politica diversa.
Le immagini di vita e morte partigiana sono fotografie raccolte in collezioni private, riproduzioni divulgate e custodite dagli stessi partigiani con annotazioni originali che ci restituiscono il sentimento del tempo e che abbiamo riportato in didascalia. È il caso delle immagini raccolte da Jaci, Giacinto Rinaldi (denominato archivio Ciccio Rinaldi). Jaci fa parte della brigata del comandante Paolo (Paolo Farinetti), della 21ª brigata Matteotti Fratelli Ambrogio; ritroviamo l’utilizzo didascalie personalizzate anche nell’archivio personale del comandante Paolo: il fotografo del gruppo era Tahon (Giuseppe Revello) che stampa il suo nome di battaglia sul retro di ogni fotografia riprodotta. Tahon aprirà il suo studio fotografico ad alba in via Manzoni.
Il Vescovo di Alba Monsignor Grassi e i Partigiani
Il Vescovo di Alba viene chiamato spesso a fare da tramite per gli scambi di prigionieri tra fascisti e partigiani, spesso per evitare rappresaglie violente. Nel settembre 1944 Monsignor Grassi viene coinvolto nella ricerca di un'ausiliaria fascista prelevata dai partigiani a Castagnole Lanze. Il colonnello dei Cacciatori degli Appennini, Languasco, ad Alba dal'agosto 1944, pretende la restituzione della donna altrimenti procederà con la fucilazione di alcune famiglie di partigiani.
Teodoro Bubbio conserva nel suo archivio, nel fascicolo denominato Carte del Vicario, l'elenco delle famiglie albesi arrestate: sono diversi i nomi noti, ad iniziare dalla famiglia di Beppe Fenoglio.
Le sentenze di morte vengono sospese, secondo quanto scritto da Monsignor Grassi, per l'interessamento di un superiore di Languasco, dopo poco Alba sarà libera per 23 giorni.
Esempio del delicato equilibrio di convivenza e collaborazione tra la popolazione e i partigiani, e la presenza nazifascista, è restituito dalla vicenda del funerale di Lulù, partigiano francese, garibaldino nelle Langhe. L'eco della funzione religiosa costringe il parroco di Monforte ad una drammatica missiva che in alcuni passaggi rivela la posizione filo-partigiana e di distanza dal fascismo, pur mascherata in una lettera di scuse, a difesa del paese. Le memorie e testimonianze di quel giorno sono molto diverse da quanto dichiarato: il funerale si svolse di giorno e alla celebrazione parteciparóno molti partigiani e la popolazione del paese, oltre ad una banda musicale.
Il colonnello Pieroni, comandante del presidio di Alba, manda copia della lettera ricevuta dal parroco al Vescovo, accompagnandola con un biglietto che richiama una prossima poderosa azione di rastrellamento nazifascista sulle Langhe, è il febbraio 1945 e fortunatamente non avviene nulla di quanto annunciato.