L’affare dell’anima
Nel 1978, Einaudi pubblica L’affare dell’anima, una raccolta di testi inediti o apparsi precedentemente su riviste.
In particolare, due racconti, ambientati nelle Langhe, rivelano affinità d’ispirazione e di forma: “L’esattore” e “L’affare dell’anima”, che dà il titolo all’opera.
L’esattore è Adolfo Manera di Murazzano, che, dopo aver raggiunto l’apice del benessere, non riesce a trasmettere ai figli la sicurezza economica ottenuta con tanta astuzia e perseveranza.
Alfredo, il figlio diciassettenne, muore prima di terminare gli studi: “Tutto Murazzano ci restò secco, … la gente di Murazzano gli fece una sepoltura senza uguali a memoria d’uomo e avevano le lacrime agli occhi non solo le donne” [1].
La figlia Melina, di salute cagionevole, dopo un matrimonio infelice, mette al mondo Apollonia, una bambina amata ed esaltata dal nonno per le sue grazie; ma la nipote, fragile creatura, non riesce ad appagare i sogni di grandezza di Adolfo Manera.
Anche il protagonista de “L’affare dell’anima”, Davide Manera, vive la sua esistenza in funzione del denaro, con l’unico scopo di trasmettere la ricchezza alla figlia.
Alla fine della sua vita, il destino gli riserva soltanto la solitudine e l’angoscia dei ricordi.
Tuttavia, il racconto non termina tragicamente come “L’esattore”: il finale è, a sorpresa, ricco di inaspettata ironia.
Davide Manera, ormai vicino alla morte, per salvare l’anima, realizza il suo ultimo, geniale affare: “Avrebbe lasciato tutto alla chiesa, ai preti: si salvava l’anima, pagando quest’enormità con una merce che il giorno dopo per lui non valeva più un centesimo” [2].
“Come un contenitore che può essere riempito di tanti materiali questa figura tipica fenogliana, grifagna, inaridita dall’avidità, non possiede comunque una sua identità certa ed inconfondibile. Qualunque lettore infatti associa e sovrappone ad essa tratti e vicende di altri racconti” [3].