MIROGLIO Giuseppe
1886 - 1979 Industriale del tessile e dell'abbigliamento
Giuseppe Miroglio nacque ad Alba il 15 luglio 1886 dal cavalier Carlo ed Angela Scarzello, commercianti in tessuto.
Era il 6 ottobre 1884, quando Carlo Miroglio sposò Angela Scarzello, egli era originario di Asti, aveva fatto il bersagliere ed aveva imparato i primi segreti della contabilità nella Fureria del reggimento; Angela era di Corneliano, lavorava nel negozio del padre, un piccolo negozio di tessuti e generi alimentari che vendeva soprattutto a credito ai contadini della zona; era una donna decisa, coraggiosa, piena di iniziative e quando si accorse che gli affari stagnavano, che i contadini non riuscivano a pagare i loro debiti e preferivano emigrare in Argentina o negli Stati Uniti, riempì un carretto di mercanzia e di prima mattina andò a cercare i clienti nei paesi vicini, da Bra a Canale, da Sommariva a Montà; i tempi erano difficili, ma se la cavò bene. Dopo il matrimonio Carlo ed Angela Miroglio si stabilirono in Alba, affittarono un magazzino nella piazzetta di San Giuseppe ed iniziarono l'attività di venditore ambulante di tessuti; salivano ogni giorno sul carro ben fornito di merci e visitavano i mercati della zona, spingendosi a volte anche ad Asti.
Nel 1902 aprirono un negozio nella piazza del Duomo di Alba, affittando i locali dal Comune, non vendevano a credito, ma vendevano a buon mercato e poiché gli affari andavano bene, smisero poco alla volta il commercio ambulante e si occuparono esclusivamente del negozio; ebbero sei figli: Giuseppe, il primogenito, Battista, Cesare, Adele, Giovanni e Leone.
Giuseppe Miroglio, dopo le scuole tecniche, entrava nell'azienda paterna che, nel frattempo, si era ingrandita.
Giuseppe imparò dalla madre a vendere e dal padre ad acquistare, e ben presto, non condividendo i criteri di acquisto del padre, se ne assunse la responsabilità, riducendo il numero dei fornitori da 62 a 12, iniziando a vendere anche all'ingrosso; la madre era morta nel 1907 e, nell'azienda, erano entrati, a poco a poco, anche gli altri figli; con l'avvicinarsi della prima Guerra Mondiale gli affari rallentarono, fino al punto di cessare del tutto e Giuseppe trasformò l'azienda secondo le esigenze del momento. D'intesa con l'Amministrazione comunale dell'epoca, presieduta dall'ing. Giuseppe Govone, si recò a Torino dal commissario per l'acquisto di generi per l'esercito, ed ottenne una prima e sostanziosa fornitura di 100.000 camicie e 50.000 mutande, mentre l'Amministrazione comunale otteneva di confezionare divise militari e maglie di lana sempre per l'esercito; Giuseppe Miroglio affittò un cinema per adattarlo a laboratorio di confezione ed il comune distribuiva il lavoro nelle famiglie, riuscendo così a dare lavoro a centinaia di famiglie, ma dopo un anno e mezzo, i quattro fratelli Miroglio furono richiamati alle armi: Cesare e Leone finirono nel 4° Bersaglieri, Giovanni in Artiglieria e Giuseppe nel IX Bersaglieri. Chiuso il laboratorio, il padre tornò all'attività assumendosi la gestione del negozio fino al 1918, quando tutti e quattro i figli furono congedati e poterono riprendere l'attività.
Nel 1920 le vendite salirono alle stelle, ed il 28 maggio dello stesso anno, i fratelli Miroglio di Carlo prendevano in affitto dal Comune di Alba, per dodici anni, il fabbricato adiacente al loro negozio, al canone annuo di 2.000 lire, con l'impegno di adattare a proprie spese per uso magazzino i locali presi in locazione che già erano stati adibiti a stalla, portico e fienile. Era un'annata ottima per il commercio, la gente cercava di dimenticare la guerra ed acquistava con molta facilità, la produzione industriale era ancora molto scarsa ed i prezzi di tutti i generi salirono vertiginosamente, ma l'anno dopo arrivò una grande crisi, il Governo aveva imposto un ribasso dei prezzi con il risultato che per sei mesi industriali e commercianti non riuscivano più a vendere ed i fratelli Miroglio, che avevano riempito i magazzini di tessuti in quantità molto superiori al loro normale fabbisogno, si trovarono ad un certo punto di fronte ad una drammatica alternativa: giungere ad un concordato con i fornitori oppure fallire.
Una domenica dell'autunno 1921, la famiglia riunita prese la decisione unanime: pagare totalmente i fornitori e creare nuovi punti di vendita per smerciare l'ingente quantitativo di tessuti stipati in magazzino; Giuseppe, con Battista e Giovanni, avrebbero condotto il negozio di Alba, aprendone uno a Nizza Monferrato, Cesare aprì una filiale a Genova, Leone un'altra a Cuneo. Con tale iniziativa poterono liquidare, con prezzi ridotti della metà, tutte le merci di magazzino ed acquistare in contanti altri tessuti beneficiando di grandi opportunità.
Fra il 1926 ed il 1928, i Miroglio avevano notevolmente aumentatao il numero dei negozi, avendo rilevato anche quelli più in difficoltà della concorrenza, e la società fu sciolta: Giuseppe rimase ad Alba, Cesare a Genova, Leone a Cuneo, mentre Battista e Giovanni iniziarono altre attività.
Giuseppe Miroglio aveva una forte personalità, lavorava moltissimo ed era metodico, si era sposato nel 1921 con Elena Viglino, figlia di una famiglia di avvocati di Alba di cui il padre era stato prima Sindaco e poi Podestà di Alba e successivamente anche Podestà di Bra. Dal loro matrimonio nacquero quattro figli: Carlo nel 1922, Franco nel 1924, e poi Angioletta e Maria Clotilde.
Nel 1930 acquistò dall'Amministrazione comunale, era Podestà l'ing. Attilio Molineris, tutti i locali che affittava dal Comune in piazza del Duomo ed anche i piani superiori, al prezzo concordato di 300.000 lire, anche se la valutazione effettuata dall'Ufficio Tecnico comunale si era fermata a 150.000 lire. Ottenendo di pagare 50.000 lire subito, ed il resto in uguali rate in cinque anni, ma riservandosi anche la facoltà di poter pagare tutto qualora ne avesse avuto la possibilità, senza dover pagare interessi. Il Comune aveva necessità di vendere in quanto aveva necessità di acquistare per 250.000 lire la parte rimanente del fabbricato attiguo all'ex Monte di Pietà (ora Convitto civico) per adibirlo all'accasermamento di un nuovo contingente di truppe che si sarebbe richiesto di assegnare alla città e destinare la somma di 50.000 lire a migliorie necessarie ed indifferibili da effettuare nel Palazzo Comunale. Successivamente Giuseppe Miroglio acquisì da altri proprietari tutto l'immobile compreso tra piazza del Duomo e via Manzoni.
Negli anni '30 tutto il territorio dell'albese aveva conosciuto una grande crisi nella vendita dei bozzoli dei bachi da seta, Alba e la provincia di Cuneo erano forti produttori di bozzoli, i secondi in Italia dopo il Veneto, la produzione, poiché era remunerativa, era aumentata di molto con il risultato che i prezzi ebbero un tracollo, i bozzoli costavano addirittura meno delle ciliegie e dall'altra parte la vendita dei tessuti di seta aveva conosciuto una preoccupante flessione ed i filandieri di professione avevano deciso di non acquistare più il prodotto; Alba era praticamente inondata di bozzoli che nessuno voleva comprare e Giuseppe Miroglio, sollecitato proprio dai contadini che erano quasi tutti suoi clienti, decise di intervenire, associandosi con due piccoli commercianti proprietari di un certo numero di forni: Miroglio avrebbe messo i fondi necessari per acquistare i bozzoli ed i soci avrebbero dovuto comprarli materialmente e poi essiccarli. In pochi giorni, fu così acquistato l'intero quantitativo di bozzoli esistenti ad Alba e nei dintorni; rilevata la parte dei soci, fece trasformare i bozzoli in filati ed i filati in tessuti di seta grezza, facendoli lavorare negli stabilimenti specializzati di Como. Ottenne così dei tessuti di seta che mise in vendita in tutta Italia ad un prezzo estremamente concorrenziale e fece una collezione di tessuti veramente belli che incominciò a vendere personalmente visitando i migliori negozi di tutta la penisola e ad assumere viaggiatori e rappresentanti, iniziando a vendere tessuti di rayon a prezzi convenienti. La sua attività di industriale dei tessuti aumentò notevolmente e l'attività crebbe fino a quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Con la guerra Giuseppe Miroglio dovette ridurre il suo giro d'azione alla sola Alba, gli affari rallentarono fino a cessare del tutto e Miroglio chiuse definitivamente i tre negozi che aveva per riaprirli solo dopo la guerra.
L'anno decisivo fu il 1947: il negozio di piazza del Duomo aveva ripreso e recuperato benissimo le posizioni, fino a quell'anno Giuseppe Miroglio aveva acquistato i tessuti necessari al suo commercio da stabilimenti lombardi; da allora avviò una propria attività industriale. Anche in questo caso si trattò di una intuizione che divenne un'idea vincente: commercializzare un prodotto interamente realizzato in proprio, con un ciclo di lavorazione completo: tessitura, tintoria, stamperia, confezioni ed inserirsi sul mercato dell'abbigliamento e dei tessuti con una produzione di cui si potevano interamente predeterminare i costi; un progetto che realizzò gradualmente e con determinazione in dieci anni con l'aiuto e la collaborazione dei figli Carlo e Franco inseriti nell'azienda subito dopo gli studi di ragioneria.
Iniziò con quattro telai nel cuore della città, negli ampi spazi che aveva da tempo realizzato a servizio del negozio di tessuti in piazza Duomo, poi ne comprò degli altri, nel 1950 erano già una cinquantina; si lavorava a doppio turno con un rumore assordante, creando disagio a tutti i vicini, ma erano tempi difficili e tutto era sopportabile, perché uno stabilimento di tessitura era una speranza di sviluppo per la città ed opportunità di lavoro per molti. Tuttavia lo spazio fu subito insufficiente e qualche lamentela incominciava ad affiorare, ma determinato com'era a costruire una vera tessitura, la prima esistente ad Alba, Giuseppe Miroglio acquistò un vasto terreno in quella che era allora la prima periferia della città, oltre la ferrovia, nella zona di corso Langhe. Lo stabilimento fu inaugurato alla fine del 1950 e, smessa l'attività dei negozi, divenne il primo tassello di una industria destinata ad affermarsi in Italia, in Europa e nel mondo con una progressione impressionante. Nel 1953 lo stabilimento fu raddoppiato, furono introdotti 250 telai automatici sostituendo i macchinari ormai superati: la tessitura era una concreta realtà.
Nel 1955 Giuseppe Miroglio aveva 69 anni, ma nessuna voglia di fare il pensionato; cedette il timone dell'azienda ai figli per riservarsi di prendere quelle iniziative che l'esperienza gli avrebbe suggerito e completare, d'accordo coi figli, il suo grande progetto. Si concentrò su un secondo tassello importante, la confezione di abiti femminili e, nonostante qualche difficoltà iniziale, per far entrare sul mercato quello che i tecnici chiamavano l'abito pronto confezionato in serie, che negli Stati Uniti era utilizzato dall'ottanta per cento delle donne ed in Italia da meno del dieci per cento, realizzò lo stabilimento per la produzione di confezioni in serie che chiamò Vestebene con il marchio che rappresentava una donna che indossava un abito lungo con lo strascico; nome e marchio erano una sfida, ma con l'industrializzazione dell'Italia e le donne che entravano in massa nei cicli produttivi, trovare sul mercato abiti pronti a prezzi contenuti ed accessibili era una gran bella comodità.
Due anni dopo, nel 1957, Giuseppe Miroglio completò il suo progetto e concretizzò la sua grande idea del ciclo completo, realizzando uno stabilimento di una moderna tintoria e stamperia su un terreno di cinquecentomila metri quadrati, scelto per la sua enorme ricchezza di acqua necessaria alla lavorazione del prodotto, acquistato da diversi proprietari attorno al nucleo di una grande cascina agricola, il Campasso, nella pianura della Vaccheria, nell'oltre Tanaro della città. Fu la sua ultima iniziativa diretta rivolta all'azienda su cui continuò a vegliare ed a cercare di essere utile sino alla morte, avvenuta a 93 anni il 22 novembre del 1979.
Giuseppe Miroglio aveva delle idee guida e dei principi in cui fermamente credeva, che applicava e che voleva fossero applicati anche dagli altri: la collaborazione, l'onestà, il lavoro considerato come una gioia e non un peso, l'unione delle forze e degli intenti, l'indipendenza dell'azienda, promettere solo ciò che si poteva fare e soprattutto mantenere ciò che si era promesso con puntualità e precisione, la ricchezza costituita dai clienti e dai dipendenti. E per i figli dei dipendenti costruì un asilo che intitolò alla moglie Elena Viglino, fece costruire alloggi per affrontare il problema della casa nel periodo della crescita tumultuosa della città di Alba e diede vita alla fondazione Elena Miroglio per l'assistenza sociale e sanitaria dei dipendenti, per distribuire borse di studio ai loro figli studenti più meritevoli.
Bibliografia
A. Mazzuca, Miroglio 1884-1984, Milano, 1985;
G.T.M., Giuseppe Miroglio, Alba, 1966.