15 Settembre 1989
Muore ad Alba Vittorio Riolfo, nato a Cortemilia nel 1925. Era uno scrittore di cronaca chiaro, preciso e puntuale, semplice senza supponenza, che studiava e si informava. Ha convissuto per oltre quarant’anni con la “carta stampata”, dando molto e ricevendo poco o nulla, a volte solo grane per quel suo scrivere schietto, libero, ma al tempo stesso senza polemiche fini a se stesse, con una ironia fine ed educata che coglieva nel segno.
Aveva iniziato prestissimo, poco più che vent’enne, a scrivere sul “Corriere Albese” uscito per la prima volta il 4 gennaio 1947 per iniziativa del fratello Giovanni e presentato come un “settimanale di politica e informazione”, periodico della DC. Vittorio Riolfo, con la sigla “Vir” scrive le cronache dei fatti cittadini, del Consiglio comunale, della vita difficile della ricostruzione e si riserva una rubrica già polemica e corrosiva intitolata “Lettere a San Teobaldo” e che firma Il Cittadino Masferrer. San Teobaldo per Riolfo, come ha scritto Edoardo Borra, è l’anima pura e resistente della città, il simbolo di ciò che Alba dovrebbe e potrebbe essere, e molte volte non è. Per i motivi più stupidi e tristi, che sono poi il vero motivo della sua satira e scrive: «L’unica soddisfazione è quella di sfogarsi con qualcuno al di sopra della quotidiana mischia: per esempio con te, Teobaldo. Sta a sentire: con te si può parlare chiaro senza paura di offendere chicchessia».
Nel 1952 il giornale chiude e Vittorio Riolfo passa alla “Gazzetta d’Alba” che accoglie con favore il nuovo giovane e brillante collaboratore. Pubblicherà solo due anni con Gazzetta, segue la politica e l’attualità culturale come Vir; pubblica articoli a sfondo storico-folcloristico e dà una sua personale impronta alla cronaca “Sotto le torri”.
Nel 1955 nasce nella Tavernetta dell’hotel Savona la Famija Albèisa, Vittorio Riolfo è tra i soci fondatori e alla nuova associazione dedicherà tutto il suo tempo sostenendo sul giornale “Le nostre tor” battaglie sui problemi ancora oggi irrisolti: la statale 29, l’inquinamento del Bormida, una maggiore attenzione alla vita culturale della città, il recupero del patrimonio artistico di Alba e del territorio.
Intuì fra i primi la valorizzazione delle Langhe e del Roero come risorsa economica per la gente e la sua guida turistica sulle Langhe, la prima del genere, rimane ancora un punto fermo.
Per la Famija Albèisa curò nel 1975 la storia dei primi vent’anni e collaborò ai testi di “Alba com’era”, “Alba un secolo”, la storia della scuola Enologica nei cento anni di fondazione. Le sue ricostruzioni storiche degli eventi albesi erano documentate e approfondite.
Negli anni Sessanta si verifica l’allontanamento dalla DC, egli che si era nutrito di Azione Cattolica, di antifascismo, di mons. Grassi, don Bussi, Teodoro Bubbio, Giuseppe Dossetti e più avanti di La Pira, non si riconosce per nulla nella DC nazionale che si sta allontanando dai suoi riferimenti personali e intuisce lo scollamento tra prassi politica e realtà sociale, convinto com’era che ad una crescita materiale dovesse coincidere una crescita sociale, morale e culturale.
Il suo impegno politico viene meno, preso com’è dal lavoro, a cui deve sobbarcarsi un trasferimento a Torino, dall’impegno nella Famija Albèisa per il giornale e le pubblicazioni.
Nel 1984 nasce ad Alba un nuovo settimanale, “Il Tanaro”. Il 20 ottobre compare il suo primo corsivo in una rubrica intitolata “pane al pane” non ancora firmato “ERRE” come avverrà dal successivo.
Oggetto del corsivo è la Bela trifolera e la Fiera, molti lo riterranno dissacrante e di cattivo gusto, in fondo la Fiera è la manifestazione più rinomata e di eccellenza della città, è un fatto di costume e di economia, parlarne male fa sempre un certo effetto e fa aumentare il numero dei nemici o degli avversari.
I corsivi di “ERRE”, ora raccolti in un volume, sono anche la nostra storia, un segno di libera provocazione e seguiranno sino alla chiusura del giornale, vissuto da molti con dolore, ma Vittorio Riolfo, dimostrando ancora coerenza, dolorosa lucidità e amara fierezza, disse che “Il Tanaro” avrebbe avuto ancora ragione di esistere soltanto se avesse potuto mantenere libera la propria voce. Al venir meno di quella voce libera anche Vittorio Riolfo tolse il disturbo.