Via Accademia
DATA DI INTITOLAZIONE
20 giugno 1853
UBICAZIONE
Alba, da via Teobaldo Calissano a via Parruzza
L’attuale denominazione risale agli anni 1849-1850 quando l’architetto Giorgio Busca fu incaricato dal Consiglio comunale di provvedere alla intitolazione ufficiale delle vie e alla numerazione degli edifici e delle abitazioni, come più volte sollecitato dagli uffici della Provincia d’Alba. Il criterio suggerito dal Busca, e condiviso dal Consiglio, fu di conservare i nomi della tradizione popolare ove significativi, di ricordare uomini meritevoli della città per opere o cultura e le istituzioni benemerite. Il nome è già documentato nel 1852 e inserito nell’elenco ufficiale approvato il 20 giugno 1853, la via è classificata di terza categoria sulle dieci previste.
Antica strada urbana medievale indicata come via pubblica nel Libro della Catena (…in strata qua itur ad Sanctum Domenicum, L.IV cap. 89) che dalla piazza (a platea) andava alla porta di San Biagio (attuali via Coppa, Accademia, vicolo san Biagio), riplasmata con la costruzione della chiesa di San Domenico, già documentata alla fine del secolo XIII.
Sulla strada si affacciava la commenda di Sant’Antonio, fondata nel 1216, con annesso l’ospedale di Sant’Antonio per le malattie del fuoco sacro, già documentato nel 1343 e ricordato nel Libro della Catena (L.IV, cap. 30) demolito nel 1706.
Le vie pubbliche della città medievale erano solamente cinque, indifferentemente definite vias e stratas ed erano quelle che dalla piazza conducevano alle porte della città o ad edifici importanti. Oltre alla strada di San Domenico erano vie pubbliche le attuali Vittorio Emanuele I (strata qua itur a platea ad sanctum Martinum), Cavour (strata qua itur a platea ad sanctum Franciscum), Vida (strata qua itur a platea ad palacium episcopale), Manzoni-Vernazza (strata qua itur a platea ad portam Tanagri incohando ad angulum apothece fratrum de Bossia), e la strada che correva parallela, internamente, alle mura (Libro della Catena, IV, capp. 15,89).
Tutte le altre strade interne che delimitavano i singoli isolati e servivano da collegamento fra le vie pubbliche venivano chiamate vicinali ed erano in terra battuta, periodicamente venivano inghiaiate. Solo nel millequattrocento vennero pavimentate (stenitas) anche le strade vicinali a spese dei frontisti con il contributo del Comune che forniva il materiale (Libro della Catena, L. IV capp. 7,71).
Gli obblighi dei cittadini nella manutenzione del tratto di strada prospiciente l’abitazione erano notevoli e periodicamente venivano nominati dal Podestà dei massari che avevano il compito di sorvegliare su questi lavori.
All’inizio dell’Ottocento le vie cittadine vennero selciate e si trovano nell’Archivio Comunale, relative agli anni 1814-1840, le ripartizioni delle spese a carico dei proprietari degli edifici prospicienti le strade ed il pagamento poteva avvenire a corpo o a misura.
In via Accademia erano, con ogni probabilità, sistemate nel Quattrocento le macellerie ed il mattatoio come indica il Libro della Catena al cap. 81 del V Libro alla rubrica Quod macellum alibi non fiat Albe quam in domibus spectabilis domini Vincentii Cerrati… in domibus et sedimine prefati domini Vincentii, positis in quarterio sancti Blasii….
Nella pianta della città di Alba del 1675 inserita nel Theatrum Sabaudiae, opera di Giovanni Tommaso Borgonio, la via è tracciata chiaramente come strada rettilinea dalla piazza del Duomo all’attuale via Parruzza; vi è raffigurata la Commenda di Sant’Antonio con ospedale, all’angolo con via Parruzza; è indicato anche un altro ospedale sorto dalla fusione di precedenti diversi ospedali e dedicato a San Lazzaro, citato in un documento del 4 novembre 1439 redatto dal notaio Jacopo Cerrato e ricordato dal Libro della Catena (IV, 30) assieme a quelli di Sant’Antonio e San Teobaldo.
Di questo ospedale si trovano riferimenti anche in un documento del vescovo Vida del 1536 in cui ricorda che dal Consiglio Generale della città erano stati eletti come amministratori Paolo Cerrato, Antonio di Alladio, Obertino Mallabuca e Stefano Magliano. La sua attività proseguì fin verso la fine del Seicento per trasferirsi poi nell’attuale via Acqui e nel 1874 nell’attuale edificio appositamente costruito.
Nel censimento della abitazioni del 1881 i locali dell’ex ospedale risultano essere ancora la sede dell’Accademia Filarmonica Letteraria da cui la denominazione di Via dell’Accademia; sono anche indicate le sedi degli uffici della Corte d’Assise e della Scuola Femminile, entrambe ubicate nei locali del Monastero delle Domenicane sottratti al convento nel 1866 dall’Amministrazione Comunale, in quanto si ritenne di ridurre ad un quarto i locali destinati alle venti suore ancora presenti.
Edifici pubblici e privati
All’inizio di via Accademia, all’angolo con l’attuale via T. Calissano, vi era la casa della famiglia Alliana, raffigurata in un disegno di Clemente Rovere del 1837, ristrutturata nel 1853 su disegno dell’Architetto Giorgio Busca. Pietro Alliana, medico militare, fu sindaco della città dal 19 novembre 1889 al 16 giugno 1890, il primo eletto dal Consiglio Comunale.
Tra il 1890 e il 1895 fu realizzata la Scuola materna “Città di Alba” utilizzando parte dell’area dell’antica Caserma di san Domenico.
Fin dal 1847 la città di Alba aveva provveduto all’educazione dell’infanzia con un asilo situato al piano terreno di un antico fabbricato; in pochi decenni i locali diventarono insufficienti per il numero sempre crescente di bambini frequentanti e non rispondenti alle nuove esigenza della pedagogia e dell’igiene.
Nel 1880 un comitato di benemeriti cittadini iniziò una sottoscrizione pro infantia promuovendo una lotteria che fruttò la cospicua somma di 6.232 lire. Altro denaro fu raccolto negli anni successivi con varie iniziative; l’Amministrazione comunale intervenne nel 1893 con un contributo di venticinque mila lire in occasione delle nozze d’argento di Margherita e Umberto I di Savoia, festeggiando in così degno modo la ricorrenza.
Il nuovo asilo fu opera dell’ingegner Costanzo Molineris che, con slancio filantropico, ne eseguì il progetto e ne diresse i lavori gratuitamente ed era studiato per 480 bambini, 80 per ognuna della 6 aule di oltre cinquantasei metri quadrati.
Il progetto comprendeva un primo lotto, già realizzato nel 1900 con una spesa di settantacinque mila lire, di quasi seimila metri cubi e un ampliamento, realizzato parzialmente in epoca successiva, che prevedeva la costruzione di ulteriori oltre seimila metri cubi per un importo di settantotto mila cinquecento lire.
L’opera fu illustrata e lodata sulla rivista “L’ingegnere igienista”, stampata in Torino, dell’aprile del 1900.
Tra fine Ottocento e nei primi anni del Novecento fu costruito il Palazzo dell’ECA, o altrimenti denominato palazzo della Leva, poi palazzo del Fascio, demolito nel 1988 per la realizzazione di un parcheggio.
Tra il 1930 ed il 1935 venne costruito l’edificio della Palestra chiudendo così l’accesso al vasto cortile interno.
A metà degli anni Sessanta venne demolito l’edificio dell’Opera Sociale Monsignor Re, costruito agli inizi del secolo per le associazioni cattoliche della diocesi, e venne realizzato il condominio San Domenico.
L’Accademia Filarmonico - Letteraria: 1725 - 1942
La tradizione artistica e culturale di Alba e dell’Albese si era già manifestata nel Quattrocento e nel Cinquecento con Domenico Annio Mirabello (1450-1520) e Venturino de Priori (1430-1512 circa), scrittori e poeti che nel 1480 avevano fondato il Collegio dei Maestri per diffondere il gusto e l’amore per le lettere e le scienze. Il primo, protonotario apostolico, laureato in medicina e in Diritto canonico, scrisse un’opera di varie sentenze intitolata Polyantea, stampata in Savona nel 1512 e a Colonia nel 1539; il secondo, ambasciatore del Comune presso vari Principi, dettò gli statuti antichi di san Teobaldo.
Loro contemporanei furono Marco da Sommariva (? - 1429), minore francescano, teologo e predicatore, consigliere e ambasciatore di Ludovico d’Acaia, concorse alla fondazione della chiesa di San Francesco e lasciò un quaresimale intitolato Bonum quaternarium Summae Ripae; Gian Giacomo de Alladio detto il Macrino (1460-1520 circa); Paolo Cerrato (1485-1541) chiamato il Virgilio del Piemonte; Urbano Serralonga (1450-1525), magistrato e consigliere giuridico del marchese Guglielmo IX di Monferrato che lo inviò ambasciatore in Germania presso l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo per cercare protezione contro Carlo VIII di Francia e poi in Spagna ove morì a Toledo.
Nel Cinquecento si distinsero per cultura e scienza il vescovo Gerolamo Vida (1470 - 1566), Pietrino Belli (1502-1575), Giacomo Mandelli (1510-1555) e il poeta Gherardo Borgogni (1526-1604), amico di Torquato Tasso, autore di molte opere in versi tra cui la tragedia Il Tancredi del 1588, Le discordie cristiane, stampato a Bergamo nel 1590 e La fonte del diporto, Venezia 1602. Fu iscritto a numerose accademie: con il nome di Errante a quella degli Inquieti di Milano, degli Intenti di Pavia e degli Illustrati di Casale. Il suo motto accademico fu Non ante quiescet.
Nel Seicento scrisse di storia mons. Paolo Brizio da Bra (1597-1667), vescovo di Alba dal 15 dicembre 1642. Riparò la cattedrale costruita da Andrea Novelli, ampliò il Seminario e ricostruì il Palazzo Vescovile; tra le sue molte opere, che risentono dello stile ampolloso dell’epoca, l’istoria serafica della provincia di San Tommaso (in latino), Torino 1647, e il primo tomo dei progressi della chiesa occidentale, Carmagnola 1648.
Di quel secolo vanno ancora ricordati Giacinto Baresano o Baresiano, dell’ordine dei domenicani che scrisse la Vita della Beata Margherita di Savoia, Marchesa di Monferrato, monaca del suo ordine e fondatrice del Monastero di Santa Maria Maddalena d’Alba, Torino, 1638; Francesco Domenico Barisano (1633-1719), medico primario alla corte di Emanuele Filiberto di Savoia, scrisse di storia e di medicina tra cui Prophylactica provisio pro vertiginosa affectione, Cuneo, 1664; Domenico Coppa Martinengo (1643-1712 circa).
Il Settecento fu il secolo che vide il fiorire delle Accademie sull’esempio della più celebre, l’Accademia d’Arcadia, fondata a Roma nel 1690 da un gruppo di poeti che si erano autonominati riformatori dello stile barocco.
Anche ad Alba iniziò la sua attività, verso il 1720, un’Accademia che aveva un carattere essenzialmente filarmonico (Accademia vulgo Philarmonicorum dicta) e che solo successivamente, con l’istituzione della classe letteraria, si allineò alla moda nazionale.
Promotore e sostenitore dell’iniziativa fu il canonico Raimondo Odella, organista della Cattedrale e insegnante di canto, e con lui vennero considerati fondatori tutti gli iscritti sino al 1748, anno in cui si diede vita ufficialmente agli Acta ed Constituziones. Già nel 1730 era stata predisposta una bozza di regolamento a cui tutti gli accademici avrebbero dovuto attenersi e con la celebrazione solenne della patrona Santa Cecilia, avvenuta nel 1726, furono associati anche i letterati.
Oltre al canonico Odella furono considerati fondatori fra Giuseppe Francesco Basso, dei minori Conventuali, maestro di musica sacra, l’abate Federico Patrizio di Scagnello, arcidiacono della Cattedrale e vicario generale di tutta la diocesi, Michele Robbio, arciprete della Cattedrale e cappellano dell’Accademia, il priore Giò Battista, beneficiato della Cattedrale, il marchese Giuseppe Busca conte della Rocchetta, Riformatore delle Regie scuole, Stefano Baratteri, sindaco di Alba, il conte Giuseppe Simone Rolfi di Castiglione, sindaco di Alba dopo Baratteri, Girolamo Colonna, podestà del feudo di Santa Rosalia dal 1742, Giò Battista Sica, Biaggio Bonino e Domenico Operti.
La presenza di illustri esponenti del clero e la frequenza delle riunioni presso il convento dei Francescani testimoniano chiaramente dell’indirizzo dell’Accademia e la partecipazione della nobiltà albese, preponderante sin verso la metà dell’Ottocento, indica con evidenza il carattere esclusivo della stessa.
Nel 1731 si stabilì che l’Accademia sarebbe stata retta da un Gran Priore o Principe, eletto annualmente dagli Accademici.
Sino al 1750 l’attività fu quasi interamente musicale e il primo aggregato alla classe letteraria fu il conte Giacomo Bonaventura Verri della Bosia e il 16 maggio 1763 venne iscritto il barone Giuseppe Vernazza.
Gli anni che vanno dal 1775 si possono considerare quelli del consolidamento dell’Accademia con la stesura di regolamenti, sempre più precisi, ed una attività sempre più intensa tanto in campo musicale che letterario; la produzione di componimenti letterari risultò esclusivamente di carattere commemorativo o adulativo, dedicati a personaggi che rivestivano cariche politiche, amministrative o religiose.
L’attività dell’Accademia proseguì sino al 1800, epoca dell’occupazione napoleonica, ruotando attorno al teatro Perucca, costruito adattando il fabbricato d’angolo tra le attuali vie Manzoni e Senatore Como a metà del Settecento.
Nel 1792 si decise di mutare il nome di Priore in quello di Preside, ritenuto più decoroso per un’Accademia che aveva ormai il monopolio culturale della città e anche per accentuare sempre più il distacco dall’ambito clericale.
Il periodo napoleonico segnò la paralisi della vita dell’Accademia che riprese la sua attività nel 1817 per iniziativa del canonico Benedetto Bollano e del segretario Casimiro Maldini; gli accademici radunati elessero a Preside Luigi Belli, sindaco della città, e cappellano il canonico Carlo Pagliuzzi ottenendo provvisoriamente una sala per le adunanze nel convento di San Domenico, essendo stato soppresso nel 1801 il convento dei Francescani e successivamente demolita la chiesa verso il 1818.
Intensa riprese l’attività e la riforma dei regolamenti e dello Statuto, ottenendo il 10 ottobre 1826 l’approvazione del Re consentendo così frequenti e libere riunioni.
Si stava intanto verificando un distacco sempre maggiore della nobiltà e del clero, sostituiti dalla media borghesia che, contemporaneamente, stava acquistando sempre più spazio e peso nell’Amministrazione comunale; l’Accademia divenne il punto di incontro degli amministratori e delle famiglie influenti, una trentina, che governarono la città per oltre mezzo secolo.
Dopo il 1850 l’Accademia era ormai la maggiore associazione culturale della città; gli anni seguenti si possono considerare i più produttivi sia per le composizioni letterarie che seppe promuovere, le iniziative e la maturazione politica: si poteva considerare concluso un processo di rinnovamento che trasformò completamente l’Accademia con una maggior apertura alle classi borghesi. Modificato il regolamento nel 1853, l’attività dell’Accademia diventò un punto di riferimento culturale costante e obbligatorio per tutta la città.
Vennero a far parte dell’Accademia l’avvocato Angelo Brofferio, deputato, il professore Michele Coppino, il conte Camillo Benso di Cavour, il deputato Ludovico Daziani, il generale Giuseppe Govone.
Per attività e iniziative spiccava l’avvocato Anacleto Como, fra Anacleto, che, con i suoi versi e le sue “prediche” in versi, forniva materiale alle adunanze e alle discussioni. Sua fu l’idea del Carnevale avvenuto nel 1869 con la creazione delle maschere: l’imperatore granduca Lasagnone I e sua moglie Raviolina; nel 1873, per il 4° Carnevale, fra Anacleto ideò un’azione carnevalesca che segnava il trionfo dell’industria e del commercio: era il sopravvento della borghesia sulla nobiltà.
Nel 1885 l’assemblea dei soci accademici approvò il nuovo regolamento che sancì la definitiva trasformazione dell’Accademia in un circolo di tipo ricreativo, era la fine di un’epoca e la trasformazione ebbe in Michele Coppino un fiero oppositore.
Nel 1903, preside l’On. Teobaldo Calissano, il prof. Euclide Milano in una conferenza letta il 2 maggio nel Teatro Sociale diceva: “Oggidì, se non erro, l’Accademia Filarmonico-poetico letteraria non esiste più che di nome, specialmente per quello che riguarda la sezione letteraria; i soci sono ridotti ad un piccolo numero, la biblioteca e dispersa, l’archivio, direi quasi, saccheggiato…”.
Il Circolo Sociale aveva sostituito di fatto l’Accademia, la banda Musicale era diventata municipale sotto l’organizzazione dell’Accademia stessa.
L’inattività dell’Accademia durava ormai dall’inizio del secolo quando il 10 marzo 1934 il Regime, che si proponeva di ristrutturare e riorganizzare le accademie e gli istituti di cultura, nominò il podestà, l’ing. Attilio Molineris, commissario straordinario per la riorganizzazione e la trasformazione dell’istituto.
Non senza qualche contrasto il nuovo regolamento, in cui una norma statutaria stabiliva che il Presidente e il Vice Presidente dell’Accademia fossero di diritto il Podestà e il Vice Podestà, norma in contrasto con il principio che la nomina di tali cariche dovesse essere di competenza del Ministero dell’Educazione Nazionale, fu approvato con R.D. il 10 ottobre 1941.
Il 30 novembre 1942 venne insediato dal commissario straordinario ing. Molineris il nuovo Consiglio di Amministrazione di cui facevano parte lo stesso ing. Molineris, il cav. Enotecnico Giuseppe Bressano, podestà di Alba, preside dell’Accademia nominato con D.M. del 25 gennaio 1942, Giovanni Perasso, Vice Podestà, delegato del Prefetto e nominato vice preside con lo stesso decreto, il rag. Giovanni Revello, delegato del segretario federale di Cuneo, il canonico Giuseppe Pozzetti, delegato del vescovo di Alba, il prof. Roberto Bergadani, preside del Regio Liceo Ginnasio e l’avvocato Guido Lana, rappresentante locale del sindacato professionisti ed artistici di Cuneo.
La guerra, la Resistenza, i mutamenti politici segnarono la paralisi prima e la fine poi dell’Accademia; una conclusione inevitabile per una esperienza che aveva fatto il suo tempo.
Bibliografia
- Luciano Maccario, L’Accademia Filarmonico – Letteraria, XII inserti in; “Le nostre Tor”, Famija Albèisa, annate 1978, 1979, 1980. Opera fondamentale e completa sulle vicende dell’Accademia.
- Euclide Milano, L’Accademia Albese, conferenza letta nel Teatro Sociale di Alba il 2 maggio 1903 e pubblicata a spese della stessa Accademia, Alba, Sansoldi, 1903.
- Onorato Derossi, Scrittori Piemontesi Savoiardi Nizzardi, Torino, Stamperia reale, 1790, ristampa anastatica, Forni Editore, 1974.
- D’Antony, Il nuovo asilo infantile d’Alba, in L’ingegnere Igienista, Anno I, n. 7-8, aprile 1900, Torino, Camilla e Bertolero.