Via Partigiani
DATA DI INTITOLAZIONE
28 settembre 1945, ratificata il 19 aprile 1951
UBICAZIONE
Alba, borgo Moretta, dal piazzale della Madonna di Moretta alla collina
Nella zona della strada si trovavano, durante la Resistenza, i comandanti partigiani.
La tecnica della guerra partigiana. Il primo strumento di lotta per la Resistenza venne fornito dalla resistenza passiva e dal sabotaggio; ma non appena essa passò sul terreno più propriamente militare dovette elaborare una strategia particolare. Gli occupanti infatti non riconoscevano al partigiano armato e prigioniero nessuno dei diritti previsti dal codice internazionale di guerra, e la durezza della repressione contro le “attività ribelli” raggiunse gradi di estremo rigore. Nel tentativo di isolare le forze della Resistenza, l’occupante ricorreva a operazioni di terrorismo su vasta scala, alle quali l’organizzazione clandestina poteva rispondere solo a patto di creare tra la popolazione un altro grado di solidarietà contro il nemico, che lo isolasse e gli infondesse la sensazione di essere sempre in pericolo. Gli elementi collaborazionisti dovevano diventare per i partigiani obiettivo di rappresaglia che giungeva fino all’eliminazione fisica dei singoli individui (come fecero i GAP costituiti in Italia).
Il primo passo sulla via della lotta armata era rappresentato dall’attacco ai presidi isolati, soprattutto in vista della necessità di procurarsi le armi; e mentre il lavoro di spionaggio militare a favore degli Alleati e la creazione di reti d’informazione e d’aiuto per i prigionieri di guerra evasi continuavano a costituire un compito fondamentale, occorreva mobilitare le masse per spingerle agli scioperi e al sabotaggio. Più in là la guerriglia cominciò a organizzarsi per bande, con forme e intensività diverse da paese a paese. Un elemento comune della più matura tattica della guerra partigiana fu rappresentato dall’esigenza di creare unità molto mobili che colpissero i punti nodali della struttura militare avversaria, pronte però all’occorrenza a dissolversi e a filtrare tra le maglie dello schieramento avversario, quando si prospettasse la minaccia di un accerchiamento.
Rapporti con gli Alleati. L’appoggio delle potenze alleate ebbe un grande rilievo nell’orientare e nel vivificare la lotta partigiana. Londra, sede di numerosi governi in esilio di paesi occupati, offrì con le trasmissioni della BBC informazioni, notizie, parole d’ordine per il collegamento e il coordinamento delle azioni partigiane. Sul piano dei rifornimenti militari (paracadutati per via aerea) il governo inglese si impegnò a fondo e a tale scopo costituì fin dal 1940 il SOE (Special Operation Executive), organizzazione incaricata appunto degli aiuti ai movimenti clandestini.
I partigiani nell’Albese. Subito dopo l’armistizio con gli anglo-americani dell’8 settembre 1943, la speranza nel ritorno alla pace fu dolorosamente delusa.
Leonardo Cocito, ufficiale presso il presidio militare di Alba, prevedendo l’arrivo delle truppe tedesche, asportò alla caserma, con l’aiuto di altri giovani antifascisti, armi e munizioni e le nascose sulle colline. Il 10 settembre giunsero in città le formazioni delle S.S., fecero prigioniero il presidio militare, fucilarono quattro soldati, imprigionarono gli altri su carri ferroviari. Molti furono liberati dall’intervento del vescovo Mons. Luigi Maria Grassi e con l’aiuto determinate della popolazione, un gruppo di crocerossine si adoperò per agevolare la loro fuga, nascondendoli, vestendoli di abiti civili e avviandoli verso le colline.
Nell’autunno-inverno 1943 la volontà di ribellarsi all’occupazione tedesca portò i primi gruppi di “patrioti” o “partigiani” a costituirsi in bande e a rifugiarsi sulla Langa, zona per posizione adatta alle azioni di guerriglia. Le bande erano quanto mai composite: ufficiali e soldati fedeli al re, sbandati che nella rotta dell’8 settembre o nello scioglimento della IV armata di ritorno dalla Francia, non erano riusciti a raggiungere le proprie case, intellettuali, studenti e operai più coscientemente antifascisti, giovani che volevano sottrarsi alle leve militari della repubblica di Salò o al “Servizio del lavoro” in Germania, ma anche gruppi di prigionieri di guerra inglesi, francesi, russi e slavi fuggiti dalla prigionia. A Cossano Belbo molti giovani si riunirono intorno ad Adriano Balbo, costituendosi in “BANDA”; altre squadre si formarono presso Dogliani, a Novello, Monforte, Neive, Serravalle; a Treiso il gruppo di Paolo Farinetti; nel Roero, tra Monticello e Sommariva Perno si costituirono i gruppi di Leonardo Cocito e Marco Lamberti; la popolazione offriva aiuto e ricovero.
Dopo una prima fase di organizzazione, le squadre partigiane fecero la loro comparsa in Alba il 2 dicembre 1943: la Repubblica Sociale aveva emanato un bando di reclutamento, ma ben pochi giovani si erano presentati, preferendo nascondersi o unirsi ai partigiani; le autorità fasciste erano allora ricorse alla cattura, come ostaggi, di alcuni genitori di renitenti alla leva; i partigiani presero d’assalto la caserma e le carceri e liberarono gli ostaggi.
Il 17 dicembre, tra Bosia e Cravanzana, avvenne il primo scontro cruento: nella sparatoria morirono quattro carabinieri e un partigiano, il ligure Tamagnone.
I partigiani presero a poco a poco coscienza delle loro forze e condussero azioni contro le colonne naziste che transitavano sulle vie di comunicazione per Asti, Acqui e Savona; i comandi nazifascisti decisero allora di disperdere in modo definitivo la resistenza nella zona: durante la primavera del ’44 si svolsero grandi rastrellamenti per colpire i centri più importanti; nell’Alta Langa, dove gli uomini provenienti da altri luoghi si erano riuniti con le formazioni già esistenti, all’arrivo dei nazisti lo sbandamento fu generale, ma pochi giorni dopo i gruppi si erano ricostituiti.
L’offensiva tedesca si allargò a tutte le valli del Cuneese dando un gravissimo colpo alle bande partigiane; sulle Langhe tra Castellino, Igliano, Roccacigliè e Marsaglia si rifugiarono dalla Val Casotto le formazioni autonome guidate da Enrico Matitni (Mauri), tra cui militava l’albese Francesco Ravinale; nella zona di Novello e Monforte si attestarono i garibaldini di Giovanni Latilla (Nanni) e Luigi Capriolo, la Valle Belbo era presidiata dagli autonomi di Piero Balbo (Poli), le formazioni GL erano presenti prevalentemente tra Manera e Trezzo Tinella; le Matteotti operavano nella zona dei Piloni di Montà.
La Resistenza presentava aspetti politici e ideologici variegati; le formazioni Autonome (gli “azzurri” per il colore del loro fazzoletto distintivo) erano preponderanti per forza numerica, per organizzazione e per il rapporto preferenziale instaurato con gli alleati che si traduceva in più numerosi lanci di rifornimenti e di armi. Coordinate dal maggiore Enrico Martini (Mauri) si caratterizzavano dalle altre non per la loro ispirazione politica, ma per l’origine militare. La struttura era costituita da ufficiali del Regio Esercito che, nei limiti di quanto consentiva la particolarissima situazione, si sforzavano di ripeterne tra le bande partigiane l’organizzazione e la disciplina. Con l’evolversi della lotta e la caratterizzazione partitica delle formazioni, vi confluirono uomini di tendenza politica monarchica, liberale, democristiana.
Le formazioni Autonome erano dislocate a Santo Stefano Belbo, Cossano Belbo, Mango, Castino, Cortemilia e Valle Bormida, da Murazzano a Castellino Tanaro.
I comunisti, nettamente favoriti da vent’anni di ininterrotto lavoro clandestino, sfociato nella organizzazione dei grandi scioperi del marzo 1943, avevano dato vita alle bande che successivamente si trasformarono nelle “Brigate Garibaldi” nelle quali affluirono giovani di diversa fede politica e si distinguevano per il fazzoletto rosso. In queste il comando militare era affiancato da commissari politici che si proponevano di istruire politicamente i partigiani. Sulle Langhe i garibaldini erano presenti soprattutto nelle zone di Monforte, Barolo, La Morra, Dogliani e Serravalle Langhe.
Un nucleo di partigiani aderiva al movimento di “Giustizia e Libertà”, di ispirazione liberal-socialista, secondo gli ideali del Partito d’Azione. I “G.L.”, con il caratteristico fazzoletto verde, erano espressione di ogni ceto sociale; in provincia promotori erano Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco, repubblicani e propugnatori di radicali riforme sociali. Ad operare nell’albese era la banda G.L. costituita da Mario Canino (poi comandata da Gianni Alessandria e Libero Porcari) nucleo originario delle Brigate “Giustizia e Libertà” operanti a Monteu Roero, fra Costigliole d’Asti e Neviglie e fra Montelupo e Somano.
Collegati ai comunisti da un patto politico di unità d’azione, oltreché dal colore rosso dei fazzoletti, ma gelosi della propria autonoma identità, erano i socialisti delle “Brigate Matteotti”: eredi della lunga tradizione del socialismo italiano, perseguitati dal fascismo ma anche travagliati da divisioni interne, raccoglievano sulle Langhe i frutti di una penetrazione effettuata all’inizio del secolo in ambiente contadino. Presidiavano la zona di Barbaresco, Treiso, Neive, Guarene e Castagnito sotto la guida di un giovane comandante, Paolo Farinetti ed erano presenti, sulla sinistra Tanaro, nella zona di Montà e Cisterna, al comando di un altro giovane operaio, Gino Cattaneo.
Anche nelle formazioni G.L. e Matteotti era presente il commissario politico che aveva il compito di preparare alla democrazia.
La divisione politica tra le varie formazioni non era tuttavia rigida, non pochi erano i patrioti che non si riconoscevano nella linea ufficiale del gruppo di appartenenza. Vi fu sempre sostanziale collaborazione sul piano militare quando lo esigevano le circostanze della lotta o la comune difesa.