Ma che cos'è il Tartufo?
Gli antichi, e ancora nel Settecento, lo credevano un tubero, definito Tuber Albidum, affine alla patata, al tapinambur, al bulbo dei fiori. Fu Vittorio Pico che, nella sua tesi di Laurea in medicina del 1788, lo classificò tra i funghi come Tuber magnatum (fungo dei grandi), lo descrisse in latino che Davide Bobba ha così tradotto: «Tubero di forma irregolare esternamente grigio giallastro, delicato al tatto, dalla polpa molto chiara, bianco – grigia intarsiata elegantemente da venatura di color serpentino, spesso segnato da macchie rossicce qua e là. Prodotto dell’autunno delizioso per l’olfatto ed il gusto, peculiare del Monferrato, dell’Astigiano e nelle colline liguri. In lingua volgare sono insigniti del nome trifole, al quale alcuni aggiungono grise».
Il tartufo è un fungo ipogeo, vive sotto terra, come tutti i funghi ha un apparato radicale fitto, ramificato e molto esteso di filamenti biancastri (ife) che si diffondono in vari substrati; il frutto, a forma di tubero, è costituito da una massa carnosa (gleba), rivestita da una sorta di corteccia (peridio). Le caratteristiche di struttura ed il colore di queste parti permettono di distinguere facilmente i vari tipi di tartufo, formato in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno mediante le radici dell’albero con cui vive in simbiosi e che determinano colorazioni diverse su tonalità del giallo chiaro, a volte con venature rosate o tendenti al marrone.
Le radici, attorno alle quali il micelio trova le condizioni per generare il tartufo, sono principalmente quelle del pioppo, del tiglio, della quercia, del salice e, secondo alcuni, anche delle viti. Dopo la sua formazione, il tartufo diventa un vero e proprio parassita, succhiando la linfa che la radice della pianta simbionte estrae dal terreno ricavandone profumo, sapore e colore.
Il tartufo dal profumo più persistente, di maggiore conservazione, è quello cresciuto a contatto con la quercia, mentre più aromatico e chiaro è quello del tiglio; la forma, per lo più tondeggiante, dipende in gran parte dalla natura del terreno: se soffice diventerà più liscio, se compatto il tartufo dovrà faticare a farsi spazio e diventerà bitorzoluto e nodoso; la stagione di maturazione è legata alle condizioni climatiche: inizia alla fine di agosto nelle annate precoci, a metà settembre in quelle tardive e si conclude a gennaio.Ogni radice produce, in genere, un solo tartufo per anno, sempre che essa non venga tagliata dai cercatori durante la fase di raccolta o dai bracconieri che zappano senza l’aiuto del cane, ma a caso.
E quando si dice tartufo d’Alba si intende quello che nasce nelle Langhe, nel Roero, nel Monferrato, nel Piemonte in generale e sull’Appennino Ligure e in tutta la Valle Bormida sin oltre Millesimo.
Ma perché il tartufo di Alba ha delle caratteristiche di profumo così accentuate e una qualità ritenuta di ottimo livello?
La domanda fu posta a Giacomo Morra da Enzo Airaldi, nell’ottobre del 1936 ( e l’intervista fu pubblicata su Stampa Sera del 29 ottobre), e Morra rispose: «E’ una grande sublime cosa che, se tutti possono gustare ed apprezzare, soltanto noi sappiamo capire, conoscere sino, addirittura, ad amare. Mi chiamano «re del tartufo» perché di questa delizia parecchio me ne intendo e senza paura lo commercio, ma siamo in tanti qui, quasi tutti a saperla lunga sull’argomento. «Diamante grigio» si è detto essere il tartufo. E grigio, di un grigio speciale, deve essere veramente, se è buono e se è dei nostri. L’occhio non sbaglia nel giudicarlo e meno ancora può sbagliare il naso. Il profumo varia – pezzo a pezzo; e lo stesso tartufo può profumare più oggi che domani. Anche in esso, infatti, vi è un grado di maturazione e di conseguenza vi è il giorno del suo massimo gusto e profumo. Non basta quindi guardarlo. Bisogna anche, e bene, annusarlo. Perché quello delle Langhe è migliore di ogni altro? Lo chieda al Creatore. E’ la terra di qui che lo fa tale ed è inutile che in altri posti si tenti di imbrogliare le cose. Arriva delle volte al nostro mercato qualcuno con delle «patate» di fuori. Se ci fossimo soltanto noi, se le potrebbe portare via. Si capisce dopo un breve esame che le han trovate vicino a qualche corso d’acqua. L’acqua non va d’accordo con i tartufi. Ci sono poi i «bari» che portano i frutti di altre terre, dopo averli tenuti per un po’ di tempo in mezzo a quelli delle Langhe, perché se ne impregnino del profumo. Anche per costoro c’è poca fortuna; il più delle volte li smascheriamo. E non tutti gli anni i tartufi son buoni allo stesso modo. Il tartufo «si fa» a cavallo di giugno e di luglio: se piove, o prima o dopo di questo periodo, non ne patisce. In seguito, poi, resiste a tutto. Se ne trovano, infatti, anche dopo che ha nevicato, fin’anche a Natale».
Se non era questo un trattato completo sul tartufo, era certamente la saggezza e la conoscenza della materia e, su queste basi, Giacomo Morra aveva creato un impero per sé, ma anche per il tartufo, per Alba e le Langhe. Alba è la capitale nazionale indiscussa del tartufo bianco; con la sua Fiera ha dato prestigio e risonanza mondiale a questo fungo ipogeo noto in tutto il mondo gastronomico e ha promosso l’immagine della zona e dei pregiati prodotti.