Il Tartufo: storia e leggenda
Conosciuto da greci e romani, esaltato da Plinio, il Tartufo Bianco d’Alba fu fatale a Lionello, duce di Clarence, figlio terzogenito di Edoardo III d’Inghilterra, marito di Violante Visconti che, venuto ad Alba il 7 ottobre 1368 per visitare i possedimenti della moglie, non resse ai tartufi ed al vino.
Narra infatti una cronaca: ”Lo duca, grande copia di trifole havendo manducato per modo di pane, volse con vini diversi donare refrigerio all’interiora hauentene un forte calora que lo addusse a trapasso”. E’ probabile che il cronista si fosse lasciato prendere la mano dal narrare; sulla autenticità e veridicità è forse necessario dubitare alquanto, la storia, molto più prosaicamente , parlò di veneficio.
Maggiore letizia ne trasse sicuramente Carlo V, imperatore di Spagna al quale, raccontano le cronache, fermatosi ad Alba nel 1537, in una cena pantagruelica fu servita “fonduta con tartufi d’Alba”.
Se con il Medioevo il tartufo aveva conosciuto silenzio ed indifferenza, sopravvisse comunque nelle tradizioni popolari, per raggiungere poi in qualità di dono, le tavole dei potenti. In Italia come in Francia: dai principi D’Acaja ai duchi di Borgogna, dai Bona di Borbone a Casa Savoia.
Ritorna protagonista nella gastronomia col Rinascimento, insieme all’affermarsi ed al definitivo diffondersi di una vera e propria cultura del gusto e dell’arte culinaria. Ed il tartufo conobbe gli onori delle corti più raffinate e della stessa Versailles, imponendosi come elemento insostituibile nella più alta cucina. E’ il Settecento invece a riscoprirlo dal punto di vista naturalistico e a fare luce su tante fantasie ed è in questo secolo, infatti, che si pongono le basi della scienza micologica. Al conte De Borch, viaggiatore naturalista polacco, dobbiamo invece la prima individuazione del tartufo bianco del Piemonte, contenuta nelle Lettres sur les truffes du Piémont del 1780.
Il patrimonio forestale dello stato Sabaudo favoriva altamente la ricerca ed il commercio dei tartufi, sia bianchi che neri. Il barone Giuseppe Vernazza di Freney, all’epoca in cui era segretario di Stato del regno di Sardegna, ottenne che venisse ribadito, con una proibizione specifica, il divieto di accesso di pascolo e il furto di prodotti agricoli e forestali nelle cascine che possedeva nei territori di Alba, Guarene, Corneliano e Piobesi in quanto particolarmente nocivo risultava essere il passaggio dei trifolao che si introducevano «di notte e di giorno a cercare da sé o con l’aiuto di cani i tartufi dei quali abbondavano quei terreni».
L’intendente Giuseppe Cavalli descrisse, in una relazione del 1821, una provincia ricca di tartufi, sia bianchi che neri. I primi, più pregiati e di maggiore gusto, crescevano abbondanti nei mandamenti di Alba, La Morra, Monforte, Diano, Govone, Canale e Corneliano e si vendevano principalmente sui mercati di Alba, Bra e Canale, da dove partivano per rifornire i mercati piemontesi.
L’intendente annotava ancora alcune riflessioni sul prezzo di vendita che consentiva un consistente ricavo annuo che non variava di anno in anno in quanto il prezzo cresceva o diminuiva in proporzione della raccolta, scarsa o abbondante che fosse.
Venendo a tempi a noi più vicini, Gioacchino Rossini, che se ne intendeva, lo definì il Mozart dei funghi e Byron teneva il tartufo sulla scrivania perché gli nutriva la fantasia; è storica la passione che i componenti di Casa Savoia avevano per i Tartufi d’Alba sin dal 1631 quando, con assedi e battaglie, ne occuparono il territorio, passione che si estese anche ai nostri grandi vini tanto da acquisire poderi e cantine.
Si racconta di un trifolao che, privo di lampada, avendo il cane individuato, nel folto del bosco, un tartufo e avuto sentore che si trattasse di un magnifico esemplare, per non rovinarlo non trovò di meglio che coprire la piccola buca con le foglie e dormirvi accanto aspettando l’alba.
Un po’ ovunque sulle colline dell’Albese si favoleggia inoltre di sgualciti calendari, su cui i trifolao annoterebbero, con estrema precisione luoghi, i giorni e le lune che hanno restituito tartufi nelle fredde notti autunnali. Prigioniero di un mito, il trifolao ancor oggi non si presenta granché diverso da quel Gioanni Calosso entrato nel 1718 nella storia di Canale per un fatto di giustizia e descritto «di una statura mediocre, ... vestito di panno di color tanatto scuro già molto usitato d’ettà di anni quaranta circa et conduceva legato con una catena un cane color o sii pello quasi tanatto et haveva anche uno zappetto da cavar le trifole».
CANZONE UFFICIALE DELLA FIERA DEL TARTUFO
VIVA LA TRIFÔLA
Dalla commedia dialettale:
I Langhèt a la fera d’la Trifôla!
Parole e musica di Federico Rossano - Alba.
I.
L’è la trifôla ‘n Prodotto Nazionale
Due Nassiun per imitene,
di piantin i l’àn piantà,
Ant’un post je sciunduie dle cucale
En t’naut post ie mnije di pum granà
Già bele plà!
Se saveissi la fatiga che nui fuma per truvé
Custa trifôla! sì, la trifôla;
Ant’la neut con ‘l can e la fumna
Ant’el pacioch in tuca andè
E la trifôla pudei gavè
La trifôla!!! ...
Matote bele, cari fanciot
Caté la trifôla,
Spusine giouvu, cari giouvnot,
Graté la trifôla ’n sima ‘l risot.
II.
L’è la trifôla un piatto delicato
A va ben per tuti i stômi, l’è sercà ‘nt’le gran ucasiun,
Se la beuti ‘ns’na fundua au fà ‘l palato,
Ben gratà ‘ns’na bagna cauda cun an litrot
Che gran bucun!
A v’anvita sempre a beive, e a ve scauda tut andrin!
Oh! la trifôla! Ah! la trifôla!
Au rend l’anima gentila
Au fa passé tuti i sagrin,
Oh! la trifôla, che mange fin!
La Trifôla!!!...
Matote bele, omni marià,
Catè la trifôla. graté la trifôla,
Spusine giouvu e fidansà,
Ciapé la trifôla... deie na gratà!!!