Un manifesto che resiste alle mode
Negli anni Sessanta il logo era ancora una torre addobbata come un albero della cuccagna da cui pendevano i prodotti della terra albese; nella sua spontanea semplicità, nella sua immediatezza simboleggiava opulenza, varietà di proposte, offerte allettanti a cui era difficile resistere.
Venne anche realizzato un manifesto con i monumenti di una città disegnati in circolo, simbolo poi adottato dalla Giostra delle Cento Torri sino a quando non venne rinnovato il manifesto della Giostra. Con l’arrivo di Raoul Molinari alla Fiera accanto al presidente Fiorenzo Revello, mitici le loro litigate e i loro scontri per un sodalizio che comunque sarebbe durato a lungo con ottimi frutti, anche la grafia della Fiera venne rinnovata: non più manifesti lenzuola, ma locandine e poster per ogni manifestazione e, nel 1974, lo studio “Allemandi” realizzò il più classico, conosciuto e diffuso manifesto della Fiera: la bottiglia con tagliatartufi e tartufi, un simbolo di richiamo immediato per milioni di italiani che riconoscevano in quel logo la Fiera di Alba, ebbe un grande impatto resistendo al tempo e alle mode.
Negli anni ottanta e novanta furono realizzate per la Fiera locandine che erano essenzialmente dei poster per accompagnare le mostre più importanti, come quelle del concorso “Il Tartufo è Tartufo d’Alba”, riproducenti vignette appositamente realizzate dagli autori vincitori dell’anno precedente; altre locandine erano impreziosite dalle riproduzioni di quadri di Menzio e Paulucci, fotografie di Sarah Moon e Andreas Feininger o storiche fotografie d’archivio.
Il tentativo di creare un nuovo logo fu sperimentato dai grafici albesi associati agli inizi degli anni novanta, partendo dalla firma di Pinot Gallizio: si trattò di una proposta stimolante e, per certi versi, provocatoria, che suscitò consensi entusiasti, ma anche critiche e opposizioni feroci; accantonato un po’ troppo in fretta poteva diventare il logo delle manifestazioni culturali della città.
Alla metà degli anni Novanta, Raoul Molinari, che era tornato ad interessarsi di Fiera con nuove idee e nuove proposte, portò anche innovazioni grafiche nel Manifesto.
Venne abbandonata la gloriosa bottiglia con il tagliatartufi e l’immagine della Fiera venne affidata alla variopinta scritta “TARTUFO” emergente da un cupo fondale appena scalfito da linee bianche, colline e monumenti della città, nelle intenzioni degli autori, ma non completamente in grado di esprimere la magia e l’attrazione del Tartufo e della sua Fiera, ebbe infatti una vita breve.
Nel terzo millennio, e con la fiera che si avviava a diventare internazionale, i manifesti non erano più di moda ed anche il logo veniva continuamente modificato: dal tartufo rappresentato come un mappamondo, dal tartufo installato su un’auto a quello dato in poltrona, all’ultimo infiocchettato quasi a significare una garanzia di origine e di qualità.
I manifesti hanno fatto il loro tempo, ma la collezione esposta al Centro Studi “Beppe Fenoglio” può far tornare alla mente, ai non più giovani, tanti ricordi e ai giovani grafici qualche spunto da non buttare via.