EVEN. II Edizione
Pietruzza della memoria. Ebrei 1938-1943
AUTORE:Muncinelli Adriana
CASA EDITRICE:EGA
ANNO DI PUBBLICAZIONE:2006
PAGINE:277
COLLOCAZIONE: Sala Farinetti - Piano 1 STATO DI CONSERVAZIONE: Ottimo
Si è ritenuto necessario ripresentare il documentatissimo libro di Adriana Muncinelli "EVEN, Pietruzza della memoria, Ebrei 1938-1945", pubblicato nel 1994 dalle Edizioni Gruppo Abele e ripubblicato nel 2006 dall'EGA editore di Torino.
Tutti sappiamo quali furono gli orrori dei campi di concentramento, la ferocia dei nazisti, lo sterminio attuato contro gli ebrei ed anche contro tanti altri prigionieri italiani e non solo. Meno conosciute le cause di tanta tragedia come si arrivò a realizzare la strage, come le leggi razziste emanate dal regime fascista in Italia portarono fatalmente all'olocausto.
Il libro racconta e documenta gli effetti delle leggi razziali nella nostra provincia e ripercorre la storia delle varie comunità ebraiche e sottolinea le tragedie di tante persone che dovettero subire l'antisemitismo e l'odio razziale.
La ricerca di Adriana Muncinelli va quindi dal 1938 al 1945, ma, come scrive l'autrice nella introduzione "É abbastanza evidente che diversa rilevanza ha la tranche 1938-43 rispetto a quella 1943-45: cinque anni, i primi, in cui la responsabilità delle misure razziali, la loro progressiva applicazione e la loro capillare diffusione nei vari gangli dell'organizzazione sociale sono tutti nelle mani dell'amministrazione italiana, dal governo centrale fino al più periferico messo comunale o appuntato dei carabinieri. Nel contempo, le reazioni della popolazione ebrea e non ebrea a tali avvenimenti si collocano in un contesto di vita associata, nonostante la dittatura ed il sopravvenire della guerra, ancora relativamente normale, non disintegrato cioè dall'assenza di regole certe e dal caotico sovrapporsi di poteri che caratterizzano come situazione estrema gli anni che seguono. Dal '43 al '45 l'iniziativa politica sarà contesa tra l'occupante tedesco, gli eredi nominali del defunto stato sabaudo e gli aspiranti ricostruttori del regime fascista secondo la formula di Salò: politicamente quindi la responsabilità non sarà più tutta e soltanto italiana. D'altro canto, le reazioni che prima erano ancora in qualche modo riconducibili ad influenze di classe, di ideologia, di status, in questa seconda fase si rapportano sempre di più a radici assolutamente individuali, a componenti profonde della personalità, quasi sempre svincolate, talvolta addirittura in contraddizione, rispetto ai modelli di comportamento prevedibili ragionando per categorie."
Un primo dato da ricordare è una ragione statistica di rilevanza quantitativa: se esaminiamo le cifre dei deportati ebrei dall'Italia suddivisi per provincia di arresto, vediamo che Cuneo, con 383 deportati, è al terzo posto dopo Roma (1680) e Trieste (546), seguita da Milano (302) e Firenze (291).
Il dato numerico, molto più alto dei 245 residenti censiti in provincia nel 1938, concentra immediatamente l'interesse sul cuneese come territorio di confine in cui, soprattutto negli ultimi anni di guerra, si rifugiò un numero molto elevato di ebrei da diverse parti d'Italia, nella speranza di trovare in questa provincia periferica ed appartata, con varchi numerosi attraverso le montagne, o un sicuro riparo o qualche opportunità di fuga.
Nella presentazione di questo volume particolare attenzione sarà data alla piccola comunità ebraica albese che, come le altre, venne censita nell'agosto del 1938. La prima preoccupazione delle leggi razziali era quella di individuare gli Ebrei e il 14 agosto del 1938 la neonata "Demorazza" (Direzione generale della demografia e della razza) dipendente dal Ministero degli interni, guidata dal prefetto Le Pera e dal ministro Buffarini Guidi, invia al prefetto Falcetti di Cuneo un telegramma, il n. 30622, in cui si ordina di procedere in via assolutamente riservata al censimento degli ebrei residenti, anche se provvisoriamente, in provincia. Le circolari "riservatissime e personali" ai podestà invitavano ad individuare tutti gli ebrei residenti anche temporaneamente in provincia alla mezzanotte del 22 agosto, anche se convertiti ad altre religioni o non professanti alcuna religione ed esortavano a controllare le notizie presso le sezioni-combattenti per quanto riguardava l'iscrizione al PNF e le benemerenze di guerra. Stessa comunicazione Falcetti invia al comando del gruppo RR.CC., al segretario federale fascista, al presidente della Federazione Combattenti, nonché al questore di Cuneo.
Ad allontanare d'altra parte ogni eventuale residua illusione sulle finalità della schedatura che veniva richiesta, interveniva il 22 agosto un ulteriore telegramma di Buffarini Guidi il quale invitava i prefetti a controllare attentamente l'operato dei vari podestà "dato che – scriveva esplicitamente – la rilevazione ha carattere eminentemente politico".
I gruppi ebraici di Alba, Bra, Cherasco, benché piccoli, erano, a differenza di quelli di altri centri della provincia, chiusi al loro interno: non compaiono matrimoni misti, l'individuazione da parte degli uffici competenti è netta e senza incertezze. Dei tre centri, solo Cherasco era stata sede di comunità, con cimitero e sinagoga cui Alba e Bra facevano capo per le celebrazioni. Come a Mondovì, anche a Cherasco il ghetto aveva occupato, fin dalla sua origine risalente al 1730, una posizione centrale: era un grande caseggiato poco distante dalla piazza principale, cui si accedeva attraverso diverse porte.
Gli ebrei censiti ad Alba appartenevano a 7 nuclei familiari che facevano capo a Camillo Debenedetti, proprietario di terreni, all'ingegnere Silvio Fubini, al dott. Ladislao Roboz, a Donato Sacerdote tipografo, a Paride Sacerdote cartolibrario, a Vittorio Sacerdote farmacista, a Giacomo Trevi impiegato, per un totale di 21 persone.
Il primo effetto delle leggi razziali fu quello di isolare gli ebrei. Il 5 settembre 1938 il Consiglio dei ministri decretava che gli ebrei erano esclusi dall'insegnamento di ogni ordine e grado e che gli alunni di razza ebraica non avrebbero più potuto essere iscritti alle scuole pubbliche; per quelli che frequentavano le elementari, dove il loro numero non fosse inferiore a dieci, sarebbero state istituite apposite sezioni separate, per gli alunni delle medie invece, si consentiva alle comunità di istituire apposite scuole private; unica eccezione gli studenti iscritti all'Università, che erano autorizzati a proseguire gli studi già intrapresi.
In provincia gli insegnati colpiti da questi provvedimenti furono quattro: Ugo Levi e Laura Sacerdote Perrini, docenti rispettivamente di matematica e di lettere presso il Liceo classico di Saluzzo; Adele Mortara, insegnante di lettere all'Istituto magistrale di Alba, ed Eleonora Terzina Diena in Poncini, insegnante al Ginnasio di Cuneo, dove risiedeva.
Inoltre agli ebrei stranieri era proibito di abitare nel Regno, in Libia e nell'Egeo. Quelli che vi risiedevano avevano sei mesi di tempo per partire. Sarebbero potuti rimanere in Italia coloro che avessero compiuto 65 anni prima del 1° ottobre 1938 e quelli che, entro la stessa data, avessero contratto matrimonio con cittadini italiani. L'aspetto più grave del provvedimento era rappresentato dall'art. 3, che revocava la cittadinanza italiana agli ebrei stranieri che l'avevano ottenuta dopo il 1° gennaio 1919.
Tra i censiti dell'agosto, due furono le persone immediatamente colpite da questo provvedimento: Giacomo Goldberger di Bra e Ladislao Roboz di Alba. Nato a Jaschbereng in Ungheria, il 18 dicembre del 1904, il dottor Roboz viveva da tempo ad Alba con la moglie Rosj Stern, pure lei ungherese, ed i due bimbi, Eva ed Alessandro, nati in quella cittadina nel 1932 e nel 1937. Privato della cittadinanza italiana col decreto del 3 settembre e costretto a lasciare lo stato entro il marzo successivo, il 29 settembre il dottor Roboz presenta domanda al Ministero dell'intero per poter restare in Italia, elencando tutti i suoi meriti a partire dal curriculum studentesco e professionale ed insistendo in particolare su tutte le azioni da lui compiute che potessero metter in luce la sua incondizionata adesione al fascismo e la sua fervente simpatia spirituale per l'Italia.
Ai titoli, per così dire, patriottici, Ladislao Roboz ne aggiungeva poi di religiosi, essendosi sottoposto al battesimo insieme con tutta la sua famiglia nel luglio del '38, con rito officiato dal vescovo.
La Questura di Cuneo diede parere favorevole alla concessione del permesso di residenza, ma il Federale di Cuneo Antonio Bonino e il segretario politico del Fascio di Alba espressero esito negativo alla richiesta.
Ad Alba in termini propri, non si poteva parlare di una "comunità ebraica" albese: se una comunità è caratterizzata dalla presenza di una sinagoga, del cimitero, di un ghetto, o per lo meno da qualcuno di questi segni che indichino un radicamento non superficiale, ad Alba non c'era nulla di tutto questo: gli israeliti, per il culto e le sepolture, avevano fatto capo a Cherasco, fino a quando quella sinagoga era rimasta in funzione; di ghetto non v'era traccia perché, al tempo dei ghetti, ad Alba non c'erano stati ebrei. Era un insediamento recente, che si può far risalire alla fine dell'Ottocento, un insediamento microscopico che stava mettendo radici e che avrebbe forse potuto diventare comunità, se non fosse stato estirpato sul nascere dalle persecuzioni e dalla guerra.
Esaminando l'elenco dei nomi, rispetto al censimento del '38 è scomparso Giacomo Trevi, impiegato, che si era nel frattempo trasferito altrove con i suoi familiari. Il gruppo degli ebrei albesi nel suo insieme è il più giovane della provincia: dieci uomini e sette donne, con età media di 37,5 anni (38 per gli uomini e 37 per le donne). Tra loro, due diciannovenni, Emma Debenedetti e Guido Sacerdote, ed un ragazzino tredicenne, Giorgio Sacerdote, cugino di Guido. I due piccoli Roboz, Alessandro ed Eva, sono i più giovani del gruppo con appena cinque e due anni, ma la loro famiglia, ormai rassegnata a partire per le leggi sugli ebrei stranieri, sta facendo i bagagli per il trasferimento a Cuba che avverrà il 7 marzo 1939.
Dal punto di vista delle professioni il gruppo è di livello medio-alto, un unico pensionato è il maggiore del Regio Esercito in pensione, Santino Luzzati, nativo di Moncalvo, il quale, impegnato nell'estate sul fronte di guerra, non era risultato censito in provincia. Messo a riposo dalle leggi razziali, il maggiore Luzzati era tornato ad Alba, dove risiedeva dal 1927.
Le altre sedici persone dell'elenco sono raggruppabili in quattro nuclei familiari: i Roboz, i Debenedetti, i Sacerdote, i Fubini. Camillo Debenedetti era nato a Cherasco nel 1881 da Ezechiele e Virginia De Angeli. Suo fratello Enrico era morto a 22 anni, nel 1916, in seguito alle ferite riportate durante la prima guerra mondiale. Dal matrimonio di Camillo Debenedetti con Rosina Deangeli, sorella del rabbino di Roma, era nata Emma che, all'epoca del censimento, aveva da poco conseguito la licenza liceale. Camillo Debenedetti era stato tesoriere della Società operaia di Alba e tra i suoi maggiori contribuenti. Dopo l'entrata in vigore delle leggi razziali, aveva presentato con molta sollecitudine la dichiarazione di appartenenza alla razza ebraica per sé e per la sua famiglia, come del resto avrebbero fatto poco dopo tutti gli altri ebrei albesi. Nel censimento del 1938 egli era già segnalato come proprietario di terreni ma, fino a dieci anni prima, era stato proprietario di una banca privata, la “Banca albese e braidese Ez. Debenedetti & C.”, fallita nel febbraio del 1928, arrivando poi a pagare i creditori, attraverso un concordato, unicamente con una percentuale sul 50%. Il fallimento della banca Debenedetti aveva messo in grave difficoltà molti operatori economici della zona, in particolare gli agricoltori e gli artigiani, e costerà poi al titolare la concessione della discriminazione.
Clelia e Bice, figlie di Paride Sacerdote, erano entrambe nate ad Alba. Clelia aveva sposato nel 1920 Vittorio Sacerdote, farmacista di Mede Lomellina, e dal loro matrimonio era nato Guido. Sua sorella Bice aveva invece sposato il tipografo Donato Sacerdote, originario di Moncalvo, ed avevano avuto un figlio, Giorgio.
Il libro di Adriana Muncinelli tratta ampiamente e documenta le traversie a cui furono sottoposti gli ebrei albesi sino all'entrata dell'Italia in guerra. Un ampio capitolo è poi dedicato ai profughi ebrei soprattutto Croati o definiti tali, che dall'agosto del '42 all'aprile del '43 giungono ad Alba: ben 14 maschi e 21 femmine tra cui 8 bambini, 35 persone che non ebbero rapporti con gli ebrei albesi che già dovevano pensare alla propria personale salvezza. La loro presenza e loro sofferenza sono ampiamente documentate soprattutto nei loro rapporti con le autorità e la popolazione.
Fino al mese di settembre del 1943 nulla accade che modifichi sostanzialmente il quadro della situazione: continuano i disagi della guerra, continuano le umiliazioni e le difficoltà causate dalle norme razziali. Come prima, molti resistono sperando che, con la fine del conflitto, il regime abbandoni la strada dell'antisemitismo, che ritengono abbia imboccato per compiacere Hitler; in alcuni però si va ormai facendo strada la convinzione che solo la sconfitta dei regimi totalitari potrà spazzare via il razzismo, che non si potrà, prima o poi, non fare la propria parte in prima persona per contribuire a questo scopo.
Il 25 luglio, la caduta di Mussolini accende negli israeliti qualche timida speranza, che si rivela subito vana, poiché la legislazione razziale non viene minimamente intaccata dal governo Badoglio. Poi, arriva l'8 settembre.
Questa data rappresenta un discrimine drammaticamente decisivo per le vicende degli ebrei: inizia in quel momento un sovrapporsi disordinato di poteri tra i residui di governo badogliano presto rimossi, la repubblica di Salò, nata poco dopo l'armistizio, e gli occupanti tedeschi, che progressivamente si tradurrà nel potere reale del più forte: i nazisti ed i loro accoliti. I poteri locali, prefetto, questore, podestà, carabinieri, guardie di pubblica sicurezza, attraverso cui erano fino ad ora passati i provvedimenti governativi, vedono la loro autorità aggredita e prevaricata dai vari comandi di piazza tedeschi, che hanno dalla loro l'eloquentissima forza delle armi, e dalla prepotenza delle bande in camicia nera protette dalla forza dell'arbitrio incontrollato. Ha termine, con l'8 settembre, la fase burocratica dell'antisemitismo italiano, che cede il passo, non senza prima avergli fornito gli esiti del suo diligente lavoro di cinque anni, all'antisemitismo nazista, mirato non già alla separazione, ma alla eliminazione degli ebrei. Dall'8 settembre le vicende degli ebrei si frantumano in mille rivoli e subiscono una brusca, congestionata accelerazione. Ma la violenza più raffinata sta proprio nella mancanza di informazioni: nulla, mai, verrà scritto sulle colonne della stampa locale circa gli arresti e le deportazioni degli ebrei che continueranno a succedersi in provincia.
I più consapevoli del pericolo che corrono sono i profughi in domicilio coatto: essi infatti si danno quasi tutti immediatamente alla fuga, giacché l'arrivo dei tedeschi rimaterializza davanti ai loro occhi eventi che avevano ben conosciuto ed a cui credevano di essere sfuggiti una volta ottenuto il trasferimento in terra italiana. L'occupazione nazista di Alba, avvenuta nella notte fra il 9 ed il 10 settembre, costituisce una sorpresa per gli stessi albesi, che si illudevano che la loro piccola città, strategicamente assai poco importante, non fosse di alcun interesse per gli invasori, e priva i profughi slavi della seconda patria in cui da poco più di un anno avevano trovato rifugio ed in cui forse cominciavano a muoversi con una certa confidenza. Diventata anch'essa, ancora una volta, nemica, si ripropone urgentemente la necessità di fuggire.
Quella dei Debenedetti è la prima famiglia di ebrei residenti che, all'arrivo dei tedeschi, fugge da Alba per trovare riparo in un casale nella campagna vicina. Emma Debenedetti, allora ventiduenne, non si sente però al sicuro ed insiste per tentare di passare in Svizzera; ricorrono così all'aiuto di padre Girotti, frate domenicano originario di Alba che, dal convento di S. Domenico di Torino, stava cercando di aiutare in ogni modo gli ebrei. È padre Girotti ad accompagnarla ad Arona, dove pernottano in albergo proprio il giorno dell'eccidio degli ebrei locali e da dove, il giorno dopo, riuscirà ad attraversare il lago ed il confine. Il libro si conclude con la documentazione di quegli ultimi mesi di guerra sino all'aprile 1945 e dei drammi degli ebrei.
Saranno 383 gli ebrei originari della provincia di Cuneo deportati nei campi di sterminio e pochissimi, solo una ventina, sopravviveranno.