50 anni insieme. Terre del Barolo. Un territorio, una cantina: 1958-2008.
Ricordo del fondatore Arnaldo Rivera
AUTORE:Parusso Giulio
CASA EDITRICE:Cantina Terre del Barolo
ANNO DI PUBBLICAZIONE:2009
PAGINE:199
CATEGORIA: Storia del territorio
COLLOCAZIONE: Sala Bubbio - Piano 2 STATO DI CONSERVAZIONE: Ottimo
Il volume è composto da sette capitoli principali, i primi tre sono quelli di inquadramento e dunque più facilmente si offrono al “lettore esterno”. Il racconto comincia intorno alla metà dell’Ottocento, con la comparsa di una serie di malattie della vite che funestano un’attività esigente fatica e fortuna. È soprattutto l’assenza quasi totale di potere contrattuale in sede di mercato – quello del sabato, ad Alba, dapprima a porta San Martino/piazza Savona quindi, fino agli anni Sessanta del Novecento, in piazza San Paolo – a consegnare il coltivatore di uve alla mercé di pochi grandi compratori. Il primo capitolo delinea con efficacia, tra l’altro, la scena del mercato delle uve come luogo patibolare, soprannominato «mercato dei morti».
Per fronteggiare questa situazione avversa, si misero in atto strategie di reazione a livello comunitario. La seconda metà dell’Ottocento è del resto il momento in cui nasce il movimento cooperativo in Italia, con richiami a culture e tradizioni diverse (dal cattolicesimo sociale al socialismo) e applicazioni nei settori dell’agricoltura, del commercio, del credito e della manifattura. Sulle colline di Langa e Roero si diffusero iniziative mutualistiche e di cooperazione. Nascono così anche le cantine sociali, in un panorama dove le grandi cantine che vinificavano in proprio erano all’incirca una decina.
A cavallo tra Otto e Novecento era stato gettato il seme di un’idea di coordinamento collettivo degli interessi dei piccoli vignaioli e produttori, che verrà ripresa negli anni subito successivi alla seconda guerra mondiale.
È dunque negli anni Cinquanta del secolo scorso che ha origine la vicenda della cantina sociale Terre del Barolo, in un momento di «crisi del comparto vinicolo […] grave e diffusa» e in un’area – il Cuneese – dove, a differenza di altre province piemontesi, «la cooperazione enologica stentava a riprendersi». Nell’introdurre alla difficile situazione, Giulio Parusso si avvale – oltre che di dati quantitativi – di un’attenta cronaca dell’epoca, quella del giornalista albese Felice Campanello, che il 19 ottobre 1957 conduceva un’analisi secca e fondata sul settimanale torinese «La via del Piemonte» (diretto da Geno Pampaloni). È un discorso compiuto, quello di Campanello (che univa, alla formazione enologica, notevole capacità di scrittura e ampiezza di interessi culturali), e non nasconde errori e paradossi: ad una produzione di uve in continuo aumento («deleterio e incontrollato»), dovuta ad una dissennata pratica di estensione delle colture viticole, non può che far seguito un deprezzamento dell’offerta; così, là dove intere economie famigliari si basano sulla vite, la prospettiva è quella di una contrazione continua degli introiti, fino al paradossale auspicio di maltempo e raccolti scarsi – come se un intervento correttivo non potesse che giungere dal cielo, secondo una visione delle cose decisamente irrazionale. Campanello addita poi altri problemi, non ultimi quello dell’imposta sui consumi (il “dazio”, che aveva determinazioni diverse a seconda dei territori) e la questione delle frodi commerciali, dei vini “tagliati” e adulterati.
La cooperativa sociale “Terre del Barolo di Castiglione Falletto”, fondata da 22 soci l’8 dicembre 1958, è stata, insieme ad altre analoghe esperienze di quegli anni, una risposta alla crisi e l’esemplificazione pratica di quanto Campanello descriveva nei suoi articoli. E se in altri casi (Govone, Barbaresco, Borbore di Vezza d’Alba) fu ancora soprattutto la determinazione di un parroco a guidare i compaesani (arrivando addirittura a vinificare nei locali delle canoniche), a Castiglione Falletto il motore dell’iniziativa fu un maestro elementare, già partigiano combattente e sindaco per 36 anni consecutivi: Arnaldo Rivera (1919-1987). Dopo un secondo capitolo che si occupa dell’aspetto geografico e della consistenza territoriale della Cantina in base all’estensione dei vigneti, il libro di Parusso dedica completamente il terzo alla figura del fondatore, che dell’associazione fu presidente per 29 anni. Nella stesura, Parusso si è avvalso di un profilo di Rivera scritto tempo addietro da Lorenzo Tablino, il quale aveva raccolto testimonianze di prima mano (molti sono i virgolettati conservati nel montaggio del racconto).
La figura di Rivera è presentata da subito come uno dei protagonisti di maggior rilievo del «riscatto» della terra di Langa nell’ultimo mezzo secolo. Fortemente legato alle sue colline (al punto da scegliere di tornarvi, nel dopoguerra, scartando una possibilità di impiego a Torino e di impegno nell’Anpi), Rivera è figlio di contadini. Ad Alba, nel 1939, si diploma all’Istituto civico magistrale; nel 1940 è arruolato militare e arriva al grado di tenente negli alpini. L’8 settembre 1943 è a Cuneo: fuggito sulle montagne, si unisce alle bande di resistenti ed è quindi partigiano garibaldino nelle Langhe per tutta la guerra di liberazione. Nel 1949, tornato a Castiglione Falletto, comincia la sua attività di maestro elementare, che durerà fino al 1977. A partire dal 1951, è eletto e sempre riconfermato sindaco, «a volte costretto a competere da solo, nonostante sollecitasse la presenza di altre liste». La morte lo coglie improvvisamente il 10 gennaio 1987. «Non fu mai uomo di partito, anche se non nascondeva la sua formazione e vocazione di sinistra».
Da maestro di scuola, mette in atto una sorta di simulazione in scala ridotta dell’attività cooperativistica, impegnandovi i suoi scolari. È la «cooperativa delle galline», che vede la costituzione di un pollaio comune (con capitale formato da una gallina per studente) amministrato con cariche e funzioni del tutto regolari e serie. Le uova prodotte si sarebbero in parte vendute per finanziare una gita scolastica ad Albenga (ciò che si ottenne, alla fine, vendendo le galline, non garantendo le uova introiti sufficienti). Siamo nel 1956, e Rivera sta per convincersi (e per convincere) della bontà di una esperienza cooperativistica di portata ben maggiore.
Agli ultimi quattro capitoli del volume spetta scandire nei dettagli i 50 anni di storia della Cantina, occupandosi rispettivamente del primo, cruciale decennio e poi, in specifico, delle tre presidenze finora susseguitesi: quella di Rivera, il breve interregno di Francesco Conterno (1987-1990) e quella tuttora in corso di Matteo Bosco. È la parte più tecnica, per così dire, dove si svolgono i passaggi relativi agli ordinamenti interni, si parla di bilanci e strategie commerciali, di selezione di vini e terreni, di certificazioni di qualità; si ripercorre la scansione dei diversi anniversari intermedi e non si tacciono le polemiche interne nei confronti di eventuali soci che «si fossero resi indegni di chiamarsi cooperatori, o che comunque non si comportassero come tali». Gli anni Duemila registrano inoltre un più dinamico investimento d’immagine, con l’istituzione di un premio “Terre del Barolo” offerto a donne che si siano distinte in ambito pubblico (artistico, letterario, scientifico).
Gli apparati d’appendice mettono a disposizione i diversi statuti, gli elenchi degli amministratori e una bibliografia essenziale. Il corredo iconografico del libro segue abbastanza armoniosamente il racconto, alternando foto d’archivio a paesaggi di Langa.