Giovannina al Giardino di Castino
Giovanni Beltramo è di Castino dove nacque nel 1898. Suo padre, già prima, era titolare del futuro Ristorante “Il giardino”, che allora si chiamava Osteria della Piazza Nuova.
Lei, Giovannina, crebbe alla scuola del padre; poi, nei suoi anni più belli, andò sposa a Modesto Riveiro, torinese di nascita e dal cognome spagnolo. Insieme i due sposi cominciarono a gestire, sempre lì a Castino, una panetteria.
Intanto l’osteria del padre faceva progressi. Furono anni di serenità; poi cominciarono i tempi dell’alterna fortuna. All’improvviso venne a mancare l’apporto del padre; Giovannina e Modesto dovettero abbandonare il loro negozio del pane per venire all’osteria a dare un mano. Tempi bui erano quelli: di soldi ce n’erano pochi, la gente lesinava il centesimo. E loro erano in troppi a gravare sull’economia dell’osteria. Per non “mangiarsi” poco per volta tutta la roba che avevano messo da parte in anni di lavoro, Giovannina e Modesto decisero un’altra volta di cambiare. Come molti altri personaggi di quegli anni, nel 1925, lasciarono la Langa e con un bastimento partito da Genova emigrarono in Argentina.
Nella Grande Casa Bottaro, Giovannina fu governante, a capo di 12 persone di servizio, prestando le sue cure sovente anche al Vescovo di Buenos Aires di allora, Josè Maria Bottaro.
In quella casa, Giovannina trovò l’America, sul serio: aveva un lavoro che le consentiva di tirare avanti; aveva sistemato anche Modesto, suo marito; e poteva perfezionare l’arte della buona cucina al fianco d’una cuoca spagnola ricca di esperienza e di genialità.
Poi tornarono, nel 1933; ripresero il ristorante; sembrava che le cose si mettessero bene definitivamente, ma venne la guerra, con i suoi lutti, le sue miserie, le sue rovine. Non disperarono. Giovannina continuò la sua epopea di cuoca, a riproporre i piatti che nel tempo aveva attinto dalla tradizione della sua gente, ad introdurre le novità viste fare durante l’avventura argentina; continuò a pazientare sui fornelli, a perseguire le lente cotture sulla stufa a piccolo fuoco. A Modesto toccò di seguire la cantina e lo fece abilmente: girava le colline alla ricerca delle partite migliori di uva dolcetto; voleva solo quelle che facevano almeno 13 gradi, altrimenti non comprava. Aveva cura del vino e da lui si beveva bene, perché aveva capito, insieme con Giovannina, che in un ristorante il bere conta tanto come il mangiare se non di più. Quel cancello che dava sul giardino, quel gioco di bocce all’ombra dei castagni, quella scala che risaliva alle sale, dal 1968, non s’aprono più. Giovannina è rimasta ancorata a quelle mura, ai ricordi.
Accanto a questi grandi maestri della cucina è doveroso ricordare, in attesa di scriverne la storia, coloro che continuarono l’avventura della cucina albese con il tartufo, nell’ultimo quarto del secondo millennio: Renato a Feisoglio, famoso per la cucina dei funghi, i fratelli Gallina alla Capannina di Alba, Giovanni Greco al Castello di Grinzane Cavour, prima come allievo di Francesco Pautasso poi unico responsabile, Gian Bovio al Belvedere di La Morra, Beppe Monchiero al Daniel’s di Alba, Mauro Penna al Miralanghe di Guarene, poi al Castello di Grinzane Cavour e infine al Daniel’s di Alba, Bruno Boggione al Gallo d’Oro di Alba e poi al Vicoletto, Maria Pavesio a Porta San Martino di Alba.