Castello di Canale
Canale che certi storici fanno risalire addirittura al 402, anno in cui sarebbe stata fondata da alcuni fuggiaschi scacciati dalle loro terre dai visigoti, è comunque di fondazione assai lontana: se ne trova traccia nei documenti già nell'862 (in un diploma dell'imperatore Ludovico), in diplomi del 905 e del 1041. Poco più tardi, nel 1065, la marchesa Adelaide di Susa ne fece dono al vescovo astigiano Guglielmo II insieme al castello e ad altre terre. Il castello doveva quindi a quell'epoca esistere, anche se non aveva verosimilmente né le dimensioni, né la struttura, né l'aspetto di quello attuale. Il quale è oggi una imponente costruzione quadrangolare situata quasi al centro dell'abitato e circondata da un ampio parco: costruzione che, insieme a tracce medioevali, mostra anche diffusi e cospicui rimaneggiamenti di epoca barocca, quando essa fu adattata a residenza signorile.
Nel periodo di maggiore importanza il castello originario fu affiancato da un'altra fortificazione denominata Castel S. Pietro, in possesso dei Palletta di Asti, distrutto nelle lotte tra le fazioni Guelfe e Ghibelline.
Federico Barbarossa lo assegnò al Conte Palatino che lo cedeva nel 1162 con altre terre a Guido di Biandrate, i cui discendenti dovettero cedere tutto ad Asti che infeudò Canale ai Roero, investitura confermata dai Visconti nel 1379.
Si trattava comunque di un edificio solido, di notevole importanza militare, giustificata dalla posizione "strategica" del borgo, a controllo della Valle del Borbore. Il castello, prese nome e anche l'aspetto attuale dai Malabayla, cospicua famiglia astigiana; fu Daniele Malabayla, a cui l'edificio fu ceduto nel 1512 da Giorgio Roero, a compiere le ristrutturazioni che diedero al castello più o meno la sua veste attuale: cimatura delle torri, inglobamento delle stesse nel complesso dell'edificio, trasformazione da apparato militare a residenza. Ancora oggi appartiene ai discendenti dei conti Malabayla - Dal Pozzo.
Così riattato il monumento conserva una sua imponenza e una sua notevole dignità architettonica, accentuata dal parco che lo circonda e che ne permette la visione da buone prospettive. Anche se, tutto sommato, deve la sua fama più che ai suoi pregi artistici, al ricordo di un chimico - l'Aloi - che vi impiantò delle caldaie per ricavare solfato di soda dalle arenarie abbondanti in luogo, solfato che finì per essere conosciuto, anche per via della sua origine, come "sale di Canale".
Bibliografia
F. Conti, Castelli del Piemonte, vol. III, Görlich, 1980.
A. Piovano, L. Fogliato, G. Cigna, I Castelli itinerari di poesia, storia, arte nel cuneese di ieri e di oggi, Cavallermaggiore, 1976.