Villaggio Ferrero
Il progetto per il Villaggio Ferrero realizzato, nella seconda metà degli anni Cinquanta, dagli architetti Amedeo Clavarino, Renato Ferrero e Bruno Foà per i dipendenti della ditta dolciaria albese predispone un nuovo modello abitativo attraverso l’insediamento del condominio. Il terreno indicato, quello compreso tra via Rorine e la collina detta “della Palazzina”, inquadra un’area non ancora soggetta a restrizioni e vincoli da parte degli strumenti di pianificazione urbana.
La distribuzione dei nove fabbricati si affida ad un impianto compositivo strutturato attraverso l’utilizzo di due tipologie. Entrambe hanno fronti rivestiti in parte di mattoni ma differiscono chiaramente negli impianti che si dispongono in maniera biassiale o si distribuiscono attorno al nucleo centrale del corpo scala. Griglie e trame murarie nel loro utilizzo in facciata rimandano ad altri edifici “popolarissimi” sparsi per l’Italia mentre al corpo scala è affidato il compito di rafforzare i caratteri distributivi degli alloggi. Nella prima tipologia, la scala conduce dall’esterno ai ballatoi su cui si affacciano le abitazioni degli operari differenziandosi dalla seconda che è invece interna al fabbricato e conduce a quegli appartamenti per gli impiegati che si aprono subito su un disimpegno-corridoio che “non ha nulla di rettangolare”. Da qui al grande salone (di rappresentanza) il passo è breve. Attraverso le grandi finestre verticali la luce viene distribuita all’interno dei locali facendo sì che l’elemento della finestra diventi anche il tramite visuale verso la collina retrostante e verso un paesaggio privo di quell’insediamento a “terrazze” a cui si sarebbe dato seguito una ventina di anni dopo.
L’Istituto per l’Edilizia Popolare e Popolarissima che ha avuto il compito di coordinare la pratica edilizia per la costruzione del villaggio Ferrero ha voluto qui realizzare case parsimoniose sicuramente “luminosissime” andando di pari passo con quella politica dell’abitazione in cui non è difficile riconoscere una desiderata “fondatezza cristiana del bene”. Vale la pena ricordare che sullo stesso lotto e nello stesso anno, il 1956, la ditta Ferrero avanza la proposta per la costruzione di un edificio a sette piani fuori terra da adibire ad albergo per il personale dipendente. L’incarico, conferito nuovamente ai tre professionisti torinesi, seppur non realizzato, riguarda il progetto per un fabbricato alto poco più di una ventina di metri. Casa albergo nella dicitura di progetto, attraverso una struttura a carena, distribuisce al proprio interno una cappella, gli uffici di direzione, salette e un’infermeria oltre alla sequenza di camere per gli affittuari. Uno spazio trasversale al corpo principale sarebbe servito da sala riunioni. La mensa, sistemata al pian terreno, con una copertura che rimanda alla chiesa di Cristo Re progettata negli stessi anni dall’architetto Oreste Dellapiana, riassume invece il carattere industriale della committenza, raggruppando la collettività “dolciaria” nella prassi comune del pasto. Al piano superiore avrebbero trovato posto le stanze da affittare ognuna con una grande vetrata e con un accesso diretto su singole logge da cui predisporre lo sguardo sul circondario.
Amedeo Clavarino, Renato Ferrero, Bruno Foà hanno operato in un sodalizio professionale tra il Piemonte e la Lombardia attraverso varie collaborazioni tra cui quella con Gualtiero Casalegno per la serie di ville a Torino nei pressi del Parco del Valentino. Loro lavori sono apparsi su riviste del settore come “Architetti: rassegna bimestrale di architettura, urbanistica e design”. Clavarino è autore della Prefazione al volume Il progetto di architettura. Diritti d’autore ed obblighi del professionista (Milano, 1979).
Bibliografia
GIUDICE Emanuela, Il villaggio Ferrero. Architettura degli anni Cinquanta ad Alba, in “Alba Pompeia”, Fascicolo I – I semestre 2009 (pubblicato nel 2011), pp. 98-102.