Castello di Guarene
Il castello di Guarene è citato in una bolla di papa Eugenio III dell'anno 1154, con cui lo si assegnava alla Chiesa d'Asti. Ben presto però Alba ne contestò il possesso, data la vicinanza geografica e la posizione dominante la valle del Tanaro. Trascorsi pochi anni, nel 1191, il vescovo di Alba, Ogerio, annetteva il castello alla sua mensa vescovile, mentre Asti nel 1223, vi rinunciava definitivamente. Passato poi ai Marchesi di Monferrato, fu infeudato, nel 1398, Oddone Roero ed ai Roero restò per cinque secoli. Venne poi distrutto agli inizi del secolo XVIII e sulle sue rovine fu innalzata l'attuale costruzione, improntata al classicismo dello Juvarra, ma su disegno del conte Giacinto Roero di Guarene. Ultimata nel 1780, si avvalse all'interno dell'opera di molti famosi ed insigni pittori.
Il castello, ottimamente conservato, colpisce anche a grande distanza per la sua mole. Dal castello di Guarene, che estintasi la dinastia dei Roero, passò nel 1899 in eredità al cugino, conte Francesco Saverio Provana di Collegno, si gode un'ottima vista sulla valle del Tanaro.
Carlo Giacinto Francesco Nicolò Maria Roero di Guarene, della Vezza, di Piobesi e di Castagnito, viene ad arricchire il frondoso albero genealogico dei Roero il 21 ottobre 1675, a Torino. Era una genealogia tra le più illustri e antiche dell'astigiano, con la sua arma "di rosso a tre ruote d'argento": che sarebbero le ruote del carro trionfale di un tal Ghiglione venuto di Fiandra, crociato nel 1099, vincitore in singolare tenzone del comandante degli infedeli. Ad Asti, nella contrada dei Rotari, per loro privilegio, non potevano passare feretri. Tanto per avere un'idea della famiglia: nei suoi numerosi rami si annoverano 15 cavalieri gerosolimitani, sette collari dell'Annunziata, un cardinale e dodici vescovi.
Nel 1300 erano padroni in Piemonte di 40 castelli.
I Roero conti di Guarene, incominciano nel 1471 con un Teodoro. Il padre di Carlo Giacinto si chiamava Traiano: aveva sposato Anna Lucrezia Delfina Tana, la quale in fatto di quarti di nobiltà non scherzava a sua volta, avendo un padre collare dell'Annunziata: lei stessa divenne dama d'onore della Regina Anna e la accompagnò fino a Palermo quando Vittorio Amedeo II con la sposa andarono a farsi incoronare solennemente, ottenuto nel 1713 il sospirato titolo regio.
Carlo Giacinto è il primo di cinque figli. Ha due fratelli, Pietro Federico cavaliere di Malta e Giuseppe Ignazio, e due sorelle, Anna Maria e Giovanna. A ventidue anni, entra nell'Accademia Militare di Torino con il suo bravo cameriere: insieme, pagano lire 1792 di pensione. Un anno dopo, è cornetta nel Reggimento dei Dragoni del Genovese, e l'anno successivo passa nei Dragoni di Sua Altezza Reale. Nominato luogotenente nel 1702, ritorna nel 1703 ai Dragoni di Genevois, al comando di una compagnia, con il viatico del suo colonnello, che scrive di lui: Guarene beaucoup de talent, homme à reussir dans toutes les comition qu'il aura; bon pour avoir une compagnie...Si rivelerà valido profeta, il colonnello, anche se il suo giudizio si riferiva ad un avvenire militare che invece non avrà.
Il Piemonte è in guerra, nel gran vortice della Successione Spagnola. La campagna del 1704 coinvolge anche Carlo Giacinto. E' il duca in persona che lo manda a Vercelli, presentendolo al governatore della città con una lettera che contiene il primo accenno al futuro architetto. Eccola: Le Comte de Guarene capitaine au Regiment Dragons de Genevois ayant quelque connaissance dans les fortifications, nous avons jugé à propos de vous l'envoyer, affin qu'il aye occasion d'en profitter et de se rendre plus habile qu'il n'est dans cette science...
Il Roero dunque nasce all'arte dell'edificare come esperto in fortificazioni, o più genericamente come ingegnere militare. Se questa sua connaissance fosse frutto di studi e applicazioni precedenti (aveva allora ventinove anni), non sappiamo. Ma il fatto che sia riconosciuta dal Duca dimostra nel giovane militare qualcosa di più di una generica ed inesperta inclinazione.
La lettera del Duca parte dal campo di Crescentino il 23 marzo. Vercelli cade il 19 luglio, fatto prigioniero, viene portato a Milano.
Non si sa in virtù di che cosa, probabilmente uno scambio di prigionieri, Carlo Giacinto può ritornarsene a casa: il che avviene nella seconda metà del 1705. Nel 1706, eccolo di nuovo nelle file dell'esercito piemontese: sono i mesi che precedono l'assedio e la battaglia di Torino.
E' proprio in questi giorni Torino vive l'episodio di Pietro Micca, giorni d'agosto che segnano il passaggio da un'atmosfera mediocre e attendista ad una crescendo di passione a rivelare l'altra faccia dell'anima di Carlo Giacinto di Roero, uomo piemontese del Settecento: la commossa partecipazione al destino della propria terra.
Dall'indomani della grande vittoria, il Piemonte entra nella fase, laboriosa ed entusiastica, della costruzione di uno stato. Nello stesso momento, singolarmente, il Roero esce dal momento "pubblico" della sua vita, ed entra nel "privato".
Incomincia, e dura per oltre quarant'anni, l'eclettica attività che fa di quest'uomo, impegnato fra l'altro ad espletare dal 1715 l'incarico di Scudiere della Principessa di Carignano, un personaggio tipico della vita e del clima artistico del Settecento piemontese. In quegli stessi anni dà inizio all'ampliamento e alla ristrutturazione del palazzo di famiglia a Torino: un lavoro che prosegue a lungo, mentre dal '25 si dedica al progetto di Guarene: decide di sostituire al vecchio maniero medievale un nuovo, imponente palazzo-castello, ideato e realizzato in proprio, dalle fondamenta agli arredi. A partire dallo stesso anno, si getta in una impresa che è nello stesso tempo arte e industria: la fabbrica della maiolica di Torino è ispirata, edificata e diretta da lui. La sua fama architettonica si è affermata: viene investito di consulenze, gli giungono richieste di progetti e di interventi edilizi. Sul suo tavolo nascono disegni di palazzi e di chiese e si accumulano i progetti altrui sui quali vieni sollecitato un suo parere, progetta la facciata della chiesa di S. Caterina di Alba.
Protegge artisti, alcuni ne fa studiare a sue spese, altri ne raccomanda, diversi, di giovani, ne "lancia".
In più, suona il violino e il violoncello; si interessa di scienza, e vuol essere informato delle esperienze elettriche di un tedesco, appositamente da Genova e dalla Francia; sollecita e ottiene una dispensa per poter tenere in casa i libri proibiti dall'Indice del Sant'Uffizio; raccoglie il primo nucleo della biblioteca del castello.
Carlo Giacinto Roero di Guarene, della Vezza, di Piobesi e di Castagnito muore a Torino nel 1749.
Bibliografia
A. Piovano, L. Fogliato, G. Cigna, I Castelli itinerari di poesia, storia, arte nel cuneese di ieri e di oggi, Cavallermaggiore, 1976.
R. Antonetto, Il castello di Guarene, Torino 1979