Castello di Monesiglio
Lungo il corso del Bormida, il luogo di Monesiglio fu feudo di origine antichissima poiché è menzionato col nome di Monasiere in un diploma del 998 di Ottone III. Il castello, che sorge nel concentrico, risale al 1221; fu fatto costruire dai Caldera, famiglia nobile che ottenne, nel 1563, con Giovanni Antonio, il titolo di Conte e che lo tenne a lungo in suo possesso, a parte un periodo in cui vi troviamo i Del Carretto. Nel 1736 lo avevano ancora i Caldera e in quell'anno, portato in dote da Elisabetta, passò ai Saluzzo di Valgrana. Estintisi i Saluzzo, troviamo come proprietari, nel 1855, il conte Ludovico Sammartino d'Aglié; poi, nel 1882, il marchese Giulio d'Auriel e, nel 1945, fu infine acquistato dal Beneficio parrocchiale. Don Adolfo Sciandra, in modo particolare, riportò la costruzione alle sue antiche caratteristiche di abitazione signorile con pregi artistici. In tema di restauri c'è da ricordare l'interessante scoperta di un restauratore torinese che, nel 1940, rimuovendo l'intonaco dei muri della cappella, portò alla luce gli affreschi di gusto raffinato con figure del secolo XVI. Studi recenti di Gernando Colombaro e Irma B. Jaffe sull'argomento hanno fatto conoscere Antonio Occello da Ceva, artista locale di un certo rilievo.
Si tratta di un imponente complesso la cui forma allungata corona la collina di Monesiglio, importante paese dell'Alta Langa posto quasi esattamente a mezza strada tra Alba e Savona, cioè lungo la principale strada di comunicazione tra il Piemonte occidentale e il mare. Ed è un complesso la cui storia è quasi completamente legata a un'unica famiglia, quella dei Caldera.
Naturalmente, se proprietari rimanevano gli stessi, altrettanto non si poteva dire della fortificazione.
Il suo aspetto iniziale si può ancora, sia pure a fatica, intuire sotto le sovrapposizioni odierne: un poderoso mastio quadrato cui faceva da antemurale una più bassa torre, anch'essa quadrata, seguita da una costruzione allungata, costeggiante la cresta della collina.
Era una buona struttura difensiva, che ben si adattava all'orografia del luogo, e che infatti non venne cambiata fin quando il castello ebbe prevalenti compiti militari. Ma, quando le esigenze civili presero il sopravvento su quelle della sicurezza, si imposero delle trasformazioni. Pur senza alterare, o senza alterare in maniera decisiva, la pianta del complesso, questo venne, in due riprese, nel 1550 e nel 1655, modificato a fini residenziali.
Ulteriori modifiche vennero apportate in tempi più recenti, quando, acquistato in questo dopoguerra della Parrocchia, si pose mano a restauri, o ripristino di parte dell'edificio. Venivano anche eliminati in parte, in questo modo, gli inserti neogotici dovuti ad un restauro del XVIII secolo; essi sono ancora visibili, a ben guardare, sui fianchi della costruzione lunga che si distacca dalla grande torre centrale.
Bibliografia
F. Conti, Castelli del Piemonte, vol. III, Görlich, 1980.
A. Piovano, L. Fogliato, G. Cigna, I Castelli itinerari di poesia, storia, arte nel cuneese di ieri e di oggi, Cavallermaggiore, 1976.