Castello di Monticello d'Alba
Il castello fu internamente sistemato pressoché integralmente nel 1787 dall'allora proprietario conte Rangone Roero. Rappresenta una delle costruzioni medioevali più imponenti, e nel complesso più integre, di tutta la provincia di Cuneo. Il restauro all'interno, che fu in effetti per grande parte modificato secondo i moduli settecenteschi, lo trasformò in una piacevole ed elegante dimora signorile di campagna.
Ma l'esterno è ancora com'era negli antichi tempi. I quali, per Monticello, sono antichi davvero. Anche se le opinioni sulle origini sono discordi, c'è chi assegna la costruzione all'XI secolo e chi al XII, è certo che nel XII secolo si hanno già menzioni di una fortificazione sul colle di Monticello.
Il castello apparteneva ai Vescovi di Asti; citato nel Codex Astensis, aveva il compito di controllare la valle del Tanaro. Fatto edificare da Alberto di Canelli, è ricordato nel 1187: si parla di un assedio ad opera degli Albesi, durato ben tre anni.
Concesso nel 1237 ai Gorzano di Asti, passò nel 1348 a Franciscotto Malabaila, che lo ebbe da suo figlio, Vescovo di Asti, a saldo di debiti contratti. Si deve ai Malabaila il primo restauro e potenziamento della costruzione. Gli abitanti di Monticello, stanchi dei soprusi si Ludovico Malabaila, chiesero l'intervento dei Rotari o Roero che, nel 1376, impadronitisi della costruzione, ne inizieranno l'ampliamento e il definitivo assetto che è ancora oggi evidente nelle strutture pervenuteci. Nella suddivisione dei fratelli Roero, il castello toccò a Percivalle, il cui figlio Oddone, scudiero del conte Verde Amedeo VI, ottenne da papa Martino V, con una bolla del 1422, il titolo di Conte. Altri restauri furono fatti nel corso del '700 e precisamente nel 1706 dalla contessa Laura Damiani di Priocca, vedova Roero, e nel 1786 dal conte Francesco Gennaro, in occasione delle nozze con Paola Del Carretto di Gorzegno. I lavori furono affidati all'architetto conte Rangone di Montelupo.
L'aspetto attuale è quello di un castello vasto, a pianta regolare, quadrilatera, difeso agli angoli da torri. E, a proposito di torri, Monticello può vantare una peculiarità non unica in zona (compare per esempio, sia pure in altra forma a Serralunga, dove si hanno tre torri di diversa concezione), ma certo tutt'altro che frequente: la presenza, ad ogni angolo, di una torre di tipo differente: quadrata, con lati ruotati di quarantacinque gradi ad uno spigolo; rotonda su un altro spigolo; e infine ottagona sul quarto. Per di più, con notevoli variazioni di dimensioni tra i tre esempi.
Questa differenza tra le difese angolari è, dal punto di vista architettonico, l'aspetto più saliente del castello, per il resto di normali forme quattrocentesche, con apparato a sporgere diffuso su tutti i lati, muratura in cotto con pronunciata scarpata ed eleganti, anche se semplici monofore in cotto.
Forme che all'esterno si sono conservate con non eccessive trasformazioni, mentre all'interno sono state in gran parte cancellate da diversi restauri tutti effettuati nel Settecento (1706, 1786). Con questa combinazione di elementi d'edificio si presenta ancor oggi inserito in un paesaggio circostante pressoché intatto e che ampiamente valorizza l'architettura antica.
A Monticello si narra che nei sotterranei del castello esista un tesoro di inestimabile valore ma che nessuno è mai riuscito ad avere perché due fantasmi lo difendono, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Più affascinante ancora è la leggenda di Chiara, figlia di un non ben identificato Barone, che si innamorò di un ufficiale della guarnigione francese. Benché promessa sposa ad un lontano cugino più anziano di lei e molto ricco, Chiara, nella bella età dei suoi 18 anni, non si dette per vinta e riuscì a convincere i genitori ad accondiscendere al suo nuovo legame. Mentre si stava realizzando il classico "..e poi vissero felici e contenti" e cioè mentre nella chiesa del castello gli invitati attendevano l'inizio della funzione religiosa in cui sarebbe stato pronunciato il fatidico "sì", arrivò l'ex-fidanzato. Incapace di superare l'affronto ricevuto, egli piombò nella chiesa e trafisse, nello stupore generale che aveva paralizzato tutti quanti, l'ufficiale francese. Dopo essersi vendicato fuggì ma non riuscì ad evitare la vendetta dei soldati che, lanciatisi all'inseguimento, lo catturarono e lo impiccarono ai merli del castello. Questa vendetta non servì a lenire il dolore di Chiara che, dopo essersi a lungo rinchiusa nella sua camera, decise di entrare in un convento di clausura.
Bibliografia
F. Conti, Castelli del Piemonte, vol. III, Görlich, 1980.
A. Piovano, L. Fogliato, G. Cigna, I Castelli itinerari di poesia, storia, arte nel cuneese di ieri e di oggi, Cavallermaggiore, 1976.