Teatro Sociale
Fin dal 1748, la città di Alba si era dotata di un teatro, situato nei locali della Confraternita di San Giuseppe, che lo affittava. All'indomani della Restaurazione, l'antico teatro venne acquistato da un privato, che diede il suo nome al teatro: Perucca. Questo luogo però non era sufficientemente grande per accogliere le richieste degli appassionati spettatori, costretti spesso ad estrarre a sorte il diritto di poter assistere alle rappresentazioni da uno degli undici palchi che costituivano la sala. La famiglia dell'architetto Busca era, già da molto tempo, inserita tra questi assidui frequentatori del teatro. La passione per il teatro da parte della nobile famiglia dell'architetto è testimoniata dalla proposta presentata nel 1851, di trasformazione in edificio per lo spettacolo, su progetto dello stesso Giorgio Busca, di una delle proprie dimore, l'antica Casa Boetti, situata all'angolo tra la Via Maestra e la via Belli. Le spese di costruzione e gestione del nuovo teatro sarebbero state affrontate da una società composta dalla Città e dai concittadini volenterosi di aderirvi. Questa prima proposta viene però abbandonata, ma l'anno seguente viene comunque costituita una società per la costruzione di un nuovo teatro in un'area da definire, essendo ormai il Teatro Perucca, non soltanto inadatto per una città di riguardo nelle sue dimensioni, ma anche assai pericoloso perché costrutto in legno tarlato e con aditi angustissimi che in caso d'incendio renderebbero difficile l'uscita dei Spettatori.
Nel 1853 viene stesa dal Busca una planimetria che individua l'area tra le chiese di San Domenico e di Santa Caterina sulla quale il Teatro verrà costruito: lo spazio è definito dal complesso seminariale e dai quartieri militari. Questa porzione di città doveva ancora trovare una sua precisa sistemazione a livello architettonico ed urbanistico secondo gli auspicati criteri di decoro ed omogeneità classicisti che saranno poi realizzati attraverso la progettazione non soltanto dell'edificio teatrale, ma anche del collegio-liceo e del Palazzo Porro, tutte architetture realizzate su disegno di Busca.
Il progetto di Busca è quello di un teatro all'italiana, che si compone in sequenza, di quattro ambienti principali: il vestibolo, la sala con pianta a ferro di cavallo, il palcoscenico ed il retropalco. Il vestibolo, di dimensioni assai contenute, è coperto da volte ribassate che poggiano su quattro colonne tuscaniche che ripartiscono lo spazio individuando gli accessi alla sala: uno, centrale, per l'ingresso in platea e due laterali che attraverso una scalinata conducono al livello dei palchi. Una decorazione a trompe l'oeil che riproduce sulle volte un disegno a lacunari, crea l'illusione di un più ampio volume. La sala ha tre ordini di palchi ed un loggione, ed è decorata in modo molto sobrio nei parapetti, in maniera più opulenta nel proscenio con le lesene corinzie, trabeazione e coronamento. Il soffitto affrescato con un girotondo di muse dal decoratore Venere e dal figurinista Festa, ha subito crolli e danneggiamenti dovuti ad infiltrazioni. Medaglioni con ritratti di musicisti e drammaturghi sono stati realizzati in un secondo tempo.
La facciata principale che dà sulla piazzetta è bipartita: connotata al pianterreno da un bugnato interrotto dalle tre aperture d'ingresso, ha nel piano superiore, un trattamento differente nelle semplici lesene che inquadrano le aperture del foyer dei palchi e reggono un timpano triangolare alleggerito da un'ulteriore apertura di tipo termale che serve ad illuminare il sottotetto.
Nel novembre 1855 il nuovo Teatro Sociale viene inaugurato, grazie all'aiuto economico fornito dai soci palchettisti e dal Comune, che ha partecipato all'impresa in cambio dell'assegnazione dei tre palchi più importanti, quelli situati centralmente nel secondo ordine. La serata inaugurale, che si apre con La figlia del reggimento di Donizetti, I masnadieri di Verdi ed il ballo Flora e il mago, è, per l'architetto albese a più riprese chiamato ed applaudito dal pubblico, un vero trionfo. Un'epigrafe posta nel foyer del teatro da parte della cittadinanza commemora l'architetto.
Le stagioni si susseguono alternando lirica e danza, balli e feste; talvolta a causa di impegni militari o di gravose necessità economiche, un'alternativa al consueto programma è offerta dagli spettacoli di prosa, allora considerata un genere minore.
Nel 1886 vengono eseguiti i primi lavori di ripristino all'esterno, mentre l'anno successivo, il Teatro esce incolume dai danni causati dal terremoto, che danneggia invece gli edifici adiacenti. Il Teatro viene chiuso per gravi problemi statici nel 1932, e passeranno molti anni prima che venga messo a punto il progetto di ampliamento e restauro che ha ridato nuova vita ed un nuovo volto all'odierna costruzione. Giorgio Busca (Alba, 1818-1977), Frequenta l'Università di Torino e si laurea in Architettura Civile il 7 luglio 1841, con una tesi discussa con Ferdinando Bonsignore, progettista della Chiesa della Gran Madre di Torino. Immediatamente dopo la laurea, inizia la sua brillante carriera come politico e come architetto. Nel 1845 fa parte del Consiglio di Ornato, e nel febbraio del 1848 entra nel Consiglio aggiunto. Il 19 settembre 1854 viene nominato sindaco dal Re, carica che mantiene fino al 16 novembre 1865.
Fra le sue opere architettoniche ricordiamo il Teatro Sociale, il Ginnasio Liceo Govone, Palazzo Porro, il Cimitero Urbano e la facciata del Seminario Maggiore.
Bibliografia
CAVALLARI MURAT, Augusto: Tessuti urbani in Alba, Città di Alba, 1975.
VIGLINO DAVICO, Micaela, PARUSSO Giulio: Giorgio Busca architetto e la città di Alba nell' Ottocento, Cassa di risparmio di Cuneo, Famija Albeisa, 1989.
VIGLINO DAVICO, Micaela (a cura di Gianfranco Maggi): Alba 1848 – 1898, con contributi di Elena Dellapiana, Laura Guardamagna, Vittorio Rapetti e Giancarlo Subbrero, ed.Piazza, Torino 1994.
VIGLINO DAVICO, Micaela: La facies di Alba nell'Ottocento: i luoghi della borghesia, in: ALONGE, Roberto, VIGLINO DAVICO Micaela, DELLAPIANA Elena [et al.] Il teatro sociale di Alba: modernità e tradizione ed. Celid, Torino 1997, pag. 93-117.